In diversi lavori abbiamo analizzato i problemi legati all’ansia e ai relativi disturbi d’ansia.
In questo articolo affronteremo la forma di ansia più estrema che porta talvolta l’individuo a credere di essere sul punto di morire o di impazzire: l’attacco di panico. Ma che cos’è un attacco di panico? Lo scopriremo un po’ più nel dettaglio nei prossimi paragrafi.
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ToggleInnanzitutto gli attacchi di panico sono degli episodi che solitamente durano alcuni minuti. Benché siano fenomeni di breve durata, generano nella persona che ne soffre una notevole angoscia.
Sono diversi i sintomi che possono comparire nel corso di un attacco di panico. Quali sono i principali?
I sintomi più comuni di natura fisiologica che contraddistinguono un attacco di panico sono senso di soffocamento, vertigini, tremori, sudorazione, tachicardia. A seguito di questi sintomi così intensi, il paziente che soffre di attacchi di panico avverte sovente una penosa sensazione di morte imminente.
Molto spesso il disturbo da attacchi di panico è associato all’agorafobia, ossia la paura di rimanere intrappolati in un luogo affollato in cui la fuga può risultare difficile o imbarazzante.
Essendo gli attacchi di panico piuttosto ricorrenti, il paziente che ne soffre è terrorizzato all’idea che tali episodi si possano ripresentare e sviluppa pertanto una particolare forma di ansia che si attiva quando si ha la sensazione che l’attacco di panico stia per verificarsi nuovamente.
Questa specifica forma di ansia prende il nome di ansia anticipatoria. Succede quindi che il soggetto si preoccupi in maniera continuativa e stancante pensando al momento e al luogo in cui si verificherà nuovamente l’attacco di panico.
Sovente le persone con attacchi di panico evitano di fare viaggi e partecipare ad eventi, nel tentativo di tenere sotto controllo il rischio di insorgenza dell’episodio di panico in un posto dove non possono fuggire agevolmente, con conseguenze nefaste sulla qualità della vita.
La cosa singolare del disturbio da attacchi di panico è che all’apparenza può risultare privo di nessi psicologici. Ma non è così.
Pertanto, alla luce di quest’ultimo aspetto, il ruolo dello psicologo e dello psicologo online viene ahimé considerato inutile da molte persone.
In realtà è proprio l’intervento psicologico che può giocare un ruolo fondamentale nella graduale risoluzione del disturbo da attacchi di panico: la stragrande maggioranza delle persone che soffre di attacchi di panico presenta tale disagio a seguito di fattori psicologici (conflitti, traumi del passato, dinamiche familiari disfunzionali, ecc.) e pertanto trae notevole giovamento da un lavoro psicologico di natura espressivo-elaborativa che vada in profondità dei conflitti inconsci alla base dell’attacco di panico.
Lo psicologo dovrebbe analizzare attentamente le circostanze in cui si manifestano gli episodi di panico, oltre alla storia di vita del soggetto, così da individuare i fattori psicologici più significativi fonte del disagio e iniziare a lavorarci al fine di riportarli alla luce nel “qui e ora” della vita del paziente.
Sono molteplici i fattori stressanti nella vita di tutti i giorni che possono essere alla base dell’insorgenza dell’attacco di panico. Spesso tali fattori sono riconducibili a cambiamenti nelle aspettative del paziente, per esempio in ambito lavorativo, familiare, relazionale, oppure riconducibili a perdite di persone importanti.
A loro volta, tali fattori stressanti, nel corso dei percorsi psicoterapeutici, si ricollegavano a esperienze infantili in cui il paziente si è confrontato con il timore (vero o presunto) di perdere una figura di riferimento importante (oppure di perderne l’amore e il sostegno emotivo).
Questi contenuti vanno affrontati in maniera attenta e puntuale in un percorso psicologico, al fine di dare un significato profondo agli episodi di panico e di superarli efficacemente.
I conflitti inconsci giocano un ruolo centrale nella genesi degli attacchi di panico, secondo la prospettiva psicodinamica. Freud ha descritto il funzionamento della mente come un sistema in cui desideri, paure e impulsi rimossi permangono attivi nell’inconscio esercitando un’influenza costante sul comportamento e sullo stato emotivo. Quando questi contenuti conflittuali non trovano una via di elaborazione conscia, possono esprimersi attraverso sintomi psicologici o somatici come ansia, attacchi di panico o episodi di depressione.
Gli attacchi di panico possono essere il risultato di una riattivazione di dinamiche interne non risolte, spesso scatenate da eventi o situazioni che evocano, anche in modo indiretto, esperienze passate traumatiche o dolorose. Questo avviene perché l’apparato psichico, nel tentativo di difendersi da contenuti emotivamente minacciosi, utilizza meccanismi di difesa come la rimozione, la scissione o la somatizzazione. Tuttavia, se il conflitto rimane irrisolto, l’energia psichica associata a questi contenuti trova altre vie d’espressione generando sintomi ricorrenti e un senso di perdita di controllo.
Attraverso il lavoro psicoterapeutico, è possibile portare alla consapevolezza tali conflitti comprendendone il significato e integrandoli nella propria esperienza emotiva. Questo processo permette di ridurre la carica ansiogena legata alle crisi e di sviluppare modalità più mature di gestione del disagio promuovendo un miglior equilibrio psichico e una maggiore continuità del senso di sé.
Come accennato, nella psicoterapia psicodinamica gli attacchi di panico vengono compresi come espressione di conflitti inconsci non risolti, spesso legati a dinamiche emotive profonde, traumi relazionali o aspetti del Sé rimossi. Il lavoro terapeutico si concentra sull’esplorazione delle origini di questi conflitti, volta a favorire una maggiore consapevolezza e integrazione delle emozioni sottostanti.
Uno degli strumenti fondamentali è l’analisi del transfert che permette di osservare come le dinamiche inconsce emergano nella relazione terapeutica. Spesso, nei pazienti con attacchi di panico, si riscontrano vissuti di perdita, separazione o angoscia di abbandono che riattivano paure arcaiche legate a esperienze infantili di dipendenza o vulnerabilità. Il terapeuta aiuta il paziente a riconoscere e mentalizzare questi vissuti riducendo l’intensità della risposta ansiosa automatica.
Un altro elemento centrale è l’interpretazione dei meccanismi di difesa, come la rimozione o la scissione, che impediscono al paziente di accedere consapevolmente ai conflitti sottostanti. Attraverso il processo terapeutico, il paziente impara a tollerare e comprendere le emozioni prima dissociate sviluppando nuove strategie di regolazione affettiva.
Il trattamento degli attacchi di panico in ottica psicodinamica non si limita alla riduzione sintomatica ma mira principalmente a trasformare la struttura psichica sottostante favorendo un senso di Sé più coeso e una maggiore capacità di gestione emotiva nelle situazioni di stress.
Nella prospettiva psicodinamica, la storia familiare e le relazioni passate giocano un ruolo centrale nell’insorgenza degli attacchi di panico, poiché influenzano profondamente la costruzione del Sé e delle modalità di regolazione emotiva. Secondo autori come Bowlby, Winnicott e Fonagy, le prime esperienze di attaccamento contribuiscono a formare modelli operativi interni che determinano il modo in cui un individuo gestisce l’ansia, la separazione e la percezione di se stesso in relazione agli altri.
In molti pazienti con attacchi di panico si riscontrano storie di attaccamento insicuro, caratterizzate da relazioni infantili improntate all’incoerenza affettiva, alla paura dell’abbandono o a dinamiche iperprotettive. In tali contesti, il bambino può sviluppare un’intolleranza alla separazione e una vulnerabilità rispetto alla perdita che nell’età adulta si manifesta con vissuti di allarme improvviso e sensazioni di frammentazione dell’Io.
Le relazioni significative dell’infanzia, in particolare quelle con le figure genitoriali, possono anche trasmettere modelli ansiosi di risposta allo stress contribuendo alla predisposizione agli attacchi di panico. Inoltre, esperienze relazionali traumatiche, come la trascuratezza emotiva o la svalutazione costante, possono portare alla formazione di conflitti inconsci irrisolti, che riemergono sotto forma di crisi ansiose quando l’individuo si trova in situazioni evocative di tali vissuti.
Il trattamento psicodinamico degli attacchi di panico mira a portare alla consapevolezza questi schemi relazionali disfunzionali permettendo al paziente di elaborare i conflitti inconsci e sviluppare nuove modalità di gestione dell’ansia, più integrate e funzionali. L’analisi della storia familiare diventa così un elemento essenziale per comprendere e trasformare la sofferenza sottostante.
Quando si avverte l’imminenza di un attacco di panico, è fondamentale adottare strategie che consentano di modulare l’ansia acuta e ristabilire un senso di controllo. Nell’immediato, l’obiettivo non è comprendere le radici profonde del sintomo ma contenere l’esperienza angosciante, per evitare una disorganizzazione emotiva.
Una prima strategia utile consiste nella regolazione della respirazione. Il rallentamento del ritmo respiratorio, attraverso la tecnica del respiro diaframmatico (ispirazione lenta dal naso per quattro secondi, mantenimento per altri quattro e espirazione dalla bocca per sei), riduce l’attivazione fisiologica dell’ansia.
Inoltre, ancorarsi al qui e ora mediante la tecnica della “messa a fuoco sensoriale” aiuta a contrastare la sensazione di perdita di controllo: nominare cinque oggetti visibili, quattro suoni percepiti, tre sensazioni tattili, due odori e un sapore permette di riequilibrare la percezione corporea.
Anche ripetersi mentalmente una frase rassicurante, come “Questo momento passerà, non sono in pericolo”, favorisce il contenimento dell’angoscia. Una volta che il livello di attivazione si riduce, sarà utile esplorare con il terapeuta il significato più profondo degli attacchi di panico lavorando sulle dinamiche inconsce che li sostengono, per ridurne la frequenza e l’intensità nel tempo.
Nell’ottica psicodinamica, gli attacchi di panico non sono semplici episodi di ansia acuta ma rappresentano l’emersione improvvisa di conflitti inconsci, angosce profonde o vissuti traumatici rimossi. Per questo motivo il loro trattamento non si limita a una mera gestione sintomatologica ma implica un lavoro approfondito sulle radici emotive e relazionali che ne sostengono la ripetizione.
È possibile “risolvere” gli attacchi di panico? In molti casi, quando il paziente intraprende un percorso psicoterapeutico mirato, lavorando sulle dinamiche interne che ne alimentano l’insorgenza, la loro frequenza e intensità si riducono progressivamente fino a scomparire.
Tuttavia, la mente umana non è un sistema statico e in momenti di particolare stress o rielaborazione di esperienze dolorose, è possibile che si ripresentino episodi transitori. Questo non significa che il percorso terapeutico abbia fallito ma che l’apparato psichico sta riorganizzando le proprie difese e strutture interne.
L’obiettivo primario della terapia psicodinamica non è solo eliminare gli attacchi di panico ma favorire una maggiore integrazione psichica, migliorare la capacità di riconoscere i segnali di disagio interiore e sviluppare strategie più mature per affrontare le proprie ansie profonde. In questo senso, la terapia consente non solo di ridurre i sintomi ma anche di trasformare il modo in cui il paziente si relaziona alle proprie emozioni e conflitti interni, promuovendo un senso di Sé più stabile e resiliente
Dopo la conclusione della terapia psicodinamica, il mantenimento dei risultati ottenuti nella gestione e risoluzione degli attacchi di panico dipende dalla capacità di integrare e consolidare le trasformazioni avvenute durante il percorso terapeutico.
Un aspetto fondamentale per mantenere i progressi è il continuo sviluppo della consapevolezza emotiva. Riconoscere precocemente segnali di tensione interna o situazioni che riattivano vissuti conflittuali consente di prevenire eventuali ricadute. Il paziente può continuare a utilizzare strumenti appresi in terapia, come la riflessione sui propri stati emotivi, la capacità di differenziare l’ansia attuale da antiche angosce e la possibilità di esplorare il significato simbolico di eventuali riemersioni sintomatiche.
Inoltre, mantenere un dialogo interno autentico e non giudicante aiuta a evitare la riattivazione di modalità difensive rigide. La scrittura riflessiva, la meditazione e il confronto con persone di fiducia possono rappresentare ulteriori strumenti di autoregolazione. In alcuni casi, può essere utile prevedere incontri periodici di follow-up con il terapeuta per monitorare il mantenimento dei cambiamenti e rafforzare il senso di continuità del lavoro svolto.
La psicoterapia non elimina la possibilità di sperimentare ansia in futuro ma fornisce strumenti per gestirla in modo più maturo e integrato. Il vero successo terapeutico non è solo l’assenza di attacchi di panico ma una trasformazione più profonda del modo in cui il paziente si rapporta alle proprie emozioni e conflitti interni.
Se noti sintomi come battito accelerato, senso di soffocamento o vertigini, fermati e concentra l’attenzione sul tuo respiro (respirazione diaframmatica). Ripeti a te stesso che la crisi è temporanea e che esistono strategie per calmarsi, come il radicamento nel “qui e ora” (focalizzati su ciò che vedi, senti e percepisci).
Uno psicologo può aiutarti a esplorare conflitti e dinamiche emotive inconsce che potrebbero alimentare gli attacchi. Anche se in apparenza non ci sono fattori scatenanti, il lavoro terapeutico approfondisce radici relazionali e vissuti passati consentendo di integrare gradualmente paure e ansie non riconosciute a livello conscio.
Non sempre è necessaria la terapia farmacologica, in molti casi la psicoterapia si rivela efficace nel raggiungere un buon controllo dei sintomi. La scelta dipende dalla gravità e dalla natura dei tuoi attacchi: confrontandoti con un professionista, potrai valutare insieme l’opzione più adatta al tuo percorso.
Sì, molti trovano utile dedicarsi regolarmente a tecniche di rilassamento (mindfulness, meditazione, respirazione profonda), mantenere uno stile di vita sano (sonno regolare, attività fisica moderata) e coltivare relazioni di supporto. Integrare momenti di auto-ascolto e confronto con uno psicologo, quando necessario, aiuta a prevenire le ricadute.
Dott. Davide Ivan Caricchi
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