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Scritto dal Dott. Davide Caricchi
Scritto il 16 Nov, 2022
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Biologico è diverso da immodificabile. Riflessioni sulla multifattorialità

“Biologico è diverso da immodificabile. Riflessioni sulla multifattorialità” è un articolo sulla multifattorialità dell’insorgenza dei disturbi psichici (e non solo) scritto dal dottor Tomaso Invernizzi, psicologo.
Un frequente fraintendimento nell’ambito della psicologia e della psichiatria riguarda la convinzione che parlare di fattori biologici nella spiegazione di un comportamento o disagio psichico equivarrebbe a ritenere tale comportamento o tale disagio immodificabile e incurabile.

Innanzitutto va chiarito che biologico non significa per forza genetico. Se facciamo riferimento ad una carenza di serotonina (una di quelle sostanze chimiche dette neurotrasmettitori che fungono da messaggeri chimici nelle sinapsi tra un neurone e l’altro) per spiegare la depressione, citiamo un fattore biologico, che potrebbe però essere a sua volta indotto da un fattore ambientale, quale una certa esperienza, e non quindi qualcosa di genetico. Un fattore biologico quindi, ma non per forza riconducibile ad un fattore genetico.

L’errata equivalenza “biologico – ereditario”

Il pregiudizio per cui “biologico” sarebbe equivalente di “ereditario”, che a sua volta implicherebbe l’attributo di “immodificabile”, era tipico della cultura positivista ed evoluzionista di fine Ottocento. Il Positivismo di Comte e l’Evoluzionismo di Darwin e Spencer rappresentavano infatti i paradigmi dominanti di tutte le scienze umane dell’epoca. In questo contesto, lo psichiatra Cesare Lombroso, fondatore dell’antropologia criminale, aveva individuato una certa alterazione del cranio di un delinquente come causa del suo comportamento criminale. In particolare, aveva notato la presenza di un’anomala fossetta nel lobo occipitale mediano del delinquente Villella, il cui cranio può ancora essere osservato presso il Museo Lombroso di Torino. Con una generalizzazione eccessiva, legata alla scarsa comprensione dell’importanza della statistica che vi era all’epoca (da un singolo o pochi casi oggi nessuno scienziato trarrebbe conclusioni), Lombroso aveva ritenuto di aver individuato la causa di certi comportamenti devianti proprio in tale anomalia del cranio che riteneva ereditaria. Egli poi pensava che tale alterazione dell’aspetto biologico non fosse modificabile tramite educazione, integrazione sociale o interventi riabilitativi, per cui ammetteva pure la pena di morte per certi delinquenti. Analogo pregiudizio caratterizzava la psichiatria pre- basagliana, di forte impostazione biologicistica, per la quale l’unica cosa sostanzialmente che si poteva fare con i “matti” era controllarli. In tale contesto, il fattore biologico la facevsa da padrone.

L’importanza del fattore “ambiente” e del fattore psicologico

A poco a poco si scoprì tuttavia che il biologico non era l’unico riferimento per la comprensione del comportamento umano e del disagio psichico. L’aver iniziato a comprendere che i fattori ambientali avessero un certo peso nell’indurre disabilità cognitiva fu la molla che spinse Maria Montessori a spostare i suoi interessi dalla psichiatria alla pedagogia, forte della lettura delle memorie di Itard, il medico che nel 1800 adottò il cosiddetto “ragazzo selvaggio” (si veda anche il celebre film di Truffaut “Il ragazzo selvaggio” del 1970), provando ad educare un fanciullo ritenuto allora irrimediabile. Si può pensare alla stimolazione offerta dall’ambiente, all’importanza dell’alimentazione, alle cure affettive… Negli anni successivi sono state molte le ricerche di matrice psicologica che hanno messo l’accento sul ruolo dei fattori contestuali nell’influenzare il comportamento e lo sviluppo di modalità patologiche, sostituendo al vecchio modello di spiegazione biologicistico un modello psicologico e sociale. Oggi il modello di spiegazione del disagio psichico prevalente, valido certamente anche per molteplici problemi di carattere prettamente medico, è il modello vulnerabilità/stress o modello multifattoriale.
I fattori genetici e quelli biologici in generale danno in genere una predisposizione di partenza, una fragilità iniziale, la vulnerabilità, ma per la manifestazione del comportamento devono aggiungersi stress di carattere psicologico e/o sociale nella vita, quali possono essere lutti, problemi familiari e relazionali, perdite economiche… Allo stesso modo, l’ambiente e tutto ciò che il contesto sociale può offrire possono modificare determinati tratti per i quali pur potrebbe esserci una predisposizione biologica. Ecco allora l’importanza della fiducia da porre nell’educazione, negli interventi riabilitativi e di integrazione sociale. Avere la consapevolezza che “biologico” non equivale a “immodificabile” significa anche contribuire a rompere lo stigma che colpisce alcuni soggetti la cui sofferenza o devianza si pensa ancora troppo spesso sia irrimediabile.

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