Nel precedente articolo sull’argomento abbiamo passato in rassegna la vita di Carl Gustav Jung, il suo percorso di studi e di formazione. Jung, dopo aver approfondito tutta una serie di test sui reattivi e le associazioni verbali, con relativi studi sperimentali, conosce nel 1907 Sigmund Freud, il “padre” della psicoanalisi. Quest’incontro segnerà in modo significativo la vita di Jung che deciderà subito dopo di far parte della Società Psicoanalitica Viennese.
A poco a poco, Jung andrà a rappresentare sempre più un riferimento per Freud. Carl Gustav Jung diventa sempre più un elemento di spicco all’interno della Società Psicoanalitica, grazie ai suoi importanti contributi teorici e clinici per la disciplina psicoanalitica.
La fama di Jung accresce col passare del tempo, e non soltanto all’interno della Società Psicoanalitica Viennese. Egli viene spesso chiamato a tenere conferenze, anche negli Stati Uniti.
Poco per volta, tuttavia, la concezione di psicoanalisi di Jung si allontana dai fondamenti freudiani ortodossi: i rapporti tra Freud e Jung iniziano a raffreddarsi.
Successivamente Carl Gustav Jung va incontro ad una profonda crisi personale della durata di 6 anni che tuttavia si rivelerà fruttuosa per la nascita della futura psicologia analitica.
Nel 1909 termina la sua collaborazione con la clinica universitaria “Burghozli”, un’esperienza che lo aveva formato.
Nel 1913 si allontana in maniera definitiva dalle teorie freudiane sancendo l’inesorabile rottura con Freud. Jung decide pertanto di abbandonare la psicoanalisi e di fondare una sua personalissima scuola di pensiero che prende il nome di psicologia analitica.
Libero da vincoli universitari e accademici (clinica Burghozli), Jung lavora unicamente nell’ambito della libera professione e per diversi anni si cimenta in una complessa e articolata autoanalisi che gli permette di scoprire i suoi contenuti inconsci e portare alla luce concetti simbolici che si riveleranno di fondamentale importanza per le sue successive formulazioni teoriche. Avrà inizio l’ennesima fase creativa che porterà Jung a consolidare i costrutti della sua psicologia analitica.
Servendosi dell’analisi dei sogni, del processo di immaginazione attiva e della la scrittura di storie, Jung si avventura nella cosidetta “discesa nell’Ade”. In cosa consiste questa nuova complessa fase? Consiste in un lungo e faticoso viaggio nell’inconscio che lo porta alla scoperta degli archetipi. Che cos’è un archetipo? L’archetipo può essere definito una “forma a priori”, un modello originario, un modello di comportamento innato che organizza l’esperienza umana. Questi modelli di comportamento innato affonderebbero le loro radici nelle esperienze collettive che si perdono nella più lontana antichità, nella “notte dei tempi” della storia umana.
Secondo Jung gli archetipi influenzano in maniera significativa il funzionamento della psiche. Essi sono presenti nel nostro immaginario e nella nostra memoria inconscia collettiva. Questi alcuni esempi dei principali archetipi individuati da Jung: il Vecchio Saggio, l’Ombra, l’Eroe, il Viaggio, Animus e Anima, la Grande Madre, la Persona. Tutte queste formulazioni sono il frutto del percorso di autoanalisi di Jung e della sua cosiddetta fase di “malattia creativa”.
Jung sostiene che se ci si immerge troppo nel mondo degli archetipi, si rischia di impazzire. Jung, a suo dire, grazie ad uno stile di vita sano, ad una famiglia attenta e presente e alla sua attività professionale, avrebbe evitato di andare incontro alla pazzia. Secondo il “padre” della psicologia analitica, altri studiosi e filosofi in passato si sono avventurati in queste “terre sconosciute” ma, non avendo sufficienti legami con la realtà, sono stati invasi dalle figure archetipiche andando incontro alla pazzia.
Il percorso di autoanalisi di Jung ha permesso la scoperta di due concetti archetipici fondamentali che approfondiremo nel prossimo articolo: quelli di Animus e Anima.
Dott. Davide Ivan Caricchi
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