La distimia è un disturbo dell’umore che si presenta molto spesso nel corso della pratica clinica di psicologi e psicologi online. È importante trattarla in maniera tempestiva ed efficace per evitare che alla lunga, nel suo percorso di cronicizzazione, sfoci in una depressione maggiore.
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ToggleÈ comune per tutti sperimentare momenti di tristezza e abbattimento di tanto in tanto. Questi periodi possono essere considerati normali e talvolta necessari per affrontare sfide o situazioni difficili nella vita. Tuttavia, capita a volte che questo persistente stato d’animo negativo accompagni costantemente una persona per un periodo superiore a due anni.
È facile comprendere il profondo disagio che alla lunga un individuo prova in un contesto del genere. Questa condizione di sofferenza psichica è nota come distimia.
Ma in cosa consiste nello specifico la distimia? Scopriamolo.
La distimia rappresenta un prolungato stato d’animo depressivo che perdura per almeno due anni, osservabile sia dal paziente stesso che dalle persone che lo circondano. Nonostante la somiglianza, è importante sottolineare che la distimia e la depressione non sono identiche.
Nei casi di distimia, durante un periodo di due anni, non è presente un periodo superiore a due mesi in cui non si manifestino almeno due dei seguenti sintomi: modificazioni dell’appetito, disturbi del sonno, mancanza di energia e bassa autostima, difficoltà di concentrazione, e sentimenti di disperazione.
Tuttavia, è importante notare che i sintomi possono essere meno evidenti o meno intensi rispetto a quelli riscontrabili in un quadro depressivo completo.
Un altro elemento cruciale da prendere in considerazione per porre diagnosi di distimia è la persistenza nel tempo della condizione depressiva. Gli individui affetti da distimia sperimentano una costante condizione di malinconia, che può peggiorare e svilupparsi in un disturbo depressivo più grave se non viene intrapreso un trattamento psicologico in studio o un trattamento psicologico online.
Nel trattamento della distimia la psicoterapia o la psicoterapia online sono di fondamentale importanza, in quanto tale disturbo provoca un’intensa sofferenza emotiva nel paziente. Di conseguenza, si verifica una significativa diminuzione della qualità della vita, poiché il disagio psicologico il paziente con distimia influisce su molteplici aspetti della vita quotidiana.
Qual è la differenza tra distimia e depressione maggiore?
Alla luce di quanto detto, distimia e depressione maggiore sembrano molto simili, quasi equiparabili: è importante non cadere nell’errore di confonderli, in quanto i due disturbi richiedono trattamenti differenti. Infatti, distimia e depressione maggiore sono due disturbi psichici ben distinti.
Nella depressione, così come nella distimia, le persone sperimentano un umore depresso per gran parte della giornata e quasi tutti i giorni: tale condizione è osservabile sia dal soggetto stesso che dalle persone che vivono accanto lui.
Una distinzione chiave è rappresentata innanzitutto dalla durata dei sintomi: la depressione presenta una durata dei sintomi (di forte intensità) di almeno due settimane, mentre la distimia persiste con i suoi sintomi (di entità più lieve) per un periodo di due anni o più.
Elementi comuni includono disturbi del sonno, variazioni nell’appetito, sensazione di stanchezza e difficoltà di concentrazione o di prendere decisioni, anche se quest’ultima è accompagnata da una persistente riduzione delle capacità cognitive.
Tuttavia, queste similitudini sono sfumate da differenze significative: nella depressione, si osserva anche una marcata diminuzione dell’interesse o del piacere per quasi tutte le attività quotidiane, insieme a segni di, ansia, agitazione psicomotoria oppure il contrario, sentimenti eccessivi di inutilità o colpa, nonché pensieri ricorrenti di morte o suicidio; nella distimia questi sintomi non sono presenti.
Entrambe le condizioni tuttavia mostrano un impatto negativo e un deterioramento nella qualità della vita del soggetto. Per questo motivo, in entrambi i casi è necessario un sostegno psichiatrico e/o psicologico, a seconda della tipologia di disagio depressivo.
È importante tenere presente il fatto che la distimia non risponde sempre al trattamento farmacologico, poiché l’apatia cronica, la disperazione e il cattivo umore derivano da processi cerebrali complessi e circostanze sociali che richiedono attenzione. I dati epidemiologici indicano che la distimia colpisce circa il 5% della popolazione, con un’incidenza particolarmente elevata nelle donne. Tuttavia, molti individui vivono con questa condizione senza chiedere aiuto, il che porta a un persistente senso di impotenza e sconforto.
È importante notare che da quando il termine “distimia” è stato sostituito con “disturbo depressivo persistente” nella quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-V), sono stati condotti numerosi studi per definire e comprendere meglio questa condizione. Sebbene considerata una forma più lieve rispetto alla depressione maggiore, la distimia può facilmente sfociare in altre patologie o disturbi mentali, a causa delle frequenti resistenze al trattamento da parte di alcune persone.
Secondo il DSM-V, la distimia è definita come un disturbo dell’umore caratterizzato da un umore cronicamente depresso che perdura per almeno due anni, durante i quali sono presenti numerosi periodi in cui il paziente manifesta sintomi depressivi che tuttavia non soddisfano i criteri per porre diagnosi di episodio depressivo maggiore.
La distimia si distingue dalla depressione maggiore per la sua persistenza nel tempo, in quanto richiede una durata più lunga per la diagnosi, e per la presenza di sintomi meno gravi rispetto alla depressione maggiore.
Le persone affette da distimia tendono ad avere un umore costantemente abbattuto per gran parte della giornata e per la maggior parte dei giorni, con sintomi che possono includere disturbi del sonno, variazioni dell’appetito, fatica, bassa autostima, difficoltà di concentrazione e sentimenti di disperazione. Tuttavia, questi sintomi possono non essere così intensi o persistenti come quelli osservati nella depressione maggiore.
La distimia può causare un notevole deterioramento del funzionamento sociale, lavorativo e personale del soggetto e, se non trattata, può aumentare il rischio di sviluppare disturbi depressivi più gravi. Il trattamento solitamente coinvolge approcci terapeutici come la psicoterapia e, in alcuni casi, può essere necessario l’uso di farmaci antidepressivi.
È importante notare che la quinta edizione del DSM ha incorporato la distimia nel concetto più ampio di “disturbo depressivo persistente”, con l’obiettivo di enfatizzare la natura cronica e persistente di questo tipo di disturbo dell’umore.
Il Manuale Diagnostico Psicodinamico (PDM) descrive la distimia come un disturbo dell’umore caratterizzato da una persistente e cronica disforia, che può manifestarsi come tristezza, irritabilità o una sensazione di vuoto emotivo. Questo stato d’animo persistente si estende per un periodo prolungato di tempo, di solito almeno due anni o più, e si distingue per la sua durata prolungata rispetto ad altri disturbi dell’umore.
Le persone affette da distimia possono sperimentare una riduzione generale del piacere e dell’interesse nelle attività quotidiane, insieme a sintomi quali disturbi del sonno, cambiamenti nell’appetito, fatica, bassa autostima e difficoltà di concentrazione. La distimia può influire in modo significativo sul funzionamento sociale e lavorativo del soggetto, causando un notevole impatto sulla qualità della vita.
Secondo il PDM, la distimia può derivare da una combinazione complessa di fattori psicologici, sociali e biologici e può essere correlata a esperienze passate di trauma, perdita o conflitti relazionali significativi.
Il trattamento consiste solitamente nel ricorso ad un approccio psicoterapeutico che mira a esplorare e comprendere i fattori sottostanti che contribuiscono alla condizione distimica, oltre a lavorare per sviluppare strategie per affrontare i sintomi e migliorare il benessere psicologico complessivo del paziente.
Nel corso degli anni ’60, lo psichiatra Robert Spitzer ha contribuito a definire e affinare la comprensione della distimia, separandola da concetti più generici e “nebulosi”.
In precedenza questa condizione clinica veniva spesso associata a un tipo di personalità caratterizzato da tratti come l’indole depressiva, la nevrosi e un carattere “debole”.
Da allora, gli sforzi per studiare il la distimia (o disturbo depressivo persistente) sono stati indirizzati verso l’individuazione delle radici del problema.
Attualmente la distimia è identificata quando sono presenti le seguenti condizioni: un umore depresso che persiste per almeno 2 anni e la presenza di almeno due dei seguenti sintomi: variazioni dell’appetito, disturbi del sonno, mancanza di energia, bassa autostima, difficoltà di concentrazione, sentimenti di disperazione e sofferenza persistente. Si esclude la presenza di episodi psicotici, maniacali o altre malattie organiche, così come elementi che rimandano chiaramente ad una depressione maggiore.
La neuropsicologia della distimia ci aiuta a comprendere l’origine di questa condizione evidenziando il ruolo dello stress e l’aumento di sostanze come le catecolamine e gli ormoni come il cortisolo, fattori che possono influire sulla capacità del cervello di regolare l’umore.
Gli studi clinici e gli avanzamenti nelle tecnologie di neuroimaging, come la risonanza magnetica, hanno portato a scoperte importanti dati significativi. Una di queste è rappresentata dall’individuazione nei pazienti distimici di una minore attività nelle aree cerebrali coinvolte nella risoluzione dei problemi, nella regolazione del sonno, dell’appetito e delle interazioni sociali.
Gran parte di questi processi sembrano concentrarsi in un’area specifica del cervello, la corteccia cingolata anteriore, responsabile del controllo esecutivo ed emotivo. È importante sottolineare che per quel che riguarda tale area, si è riscontrata un’attività ridotta in tutti i pazienti affetti da distimia.
Nell’ambito della psicologia psicodinamica, la distimia può essere letta come una condizione che trae origine da processi intrapsichici profondi e da modelli relazionali interiorizzati sin dalle prime fasi di vita. Le radici della distimia sono spesso legate a conflitti inconsci, relazioni oggettuali disfunzionali e a una costruzione dell’Io influenzata da vissuti di perdita, abbandono o svalutazione, elementi che modellano il modo in cui l’individuo si relaziona con sé stesso e con gli altri.
È importante tenere a mente che la distimia non è semplicemente uno stato d’animo abbattuto e persistente: è una ferita psicologica che si radica nel profondo dell’essere influenzando l’identità e le relazioni con gli altri.
Nella prospettiva psicodinamica, le radici della distimia affondano in un terreno complesso e spesso oscuro, dove conflitti inconsci e dinamiche relazionali intricate giocano un ruolo centrale.
Questo disturbo si alimenta di schemi emotivi ripetitivi, frutto di esperienze di perdita e svalutazione che l’individuo ha interiorizzato come parti di sé. È come se la distimia piantasse i suoi semi nelle vulnerabilità dell’Io dando vita a un senso di insoddisfazione cronica che accompagna l’individuo nelle scelte quotidiane, nelle relazioni e nelle aspettative verso se stesso.
Comprendere queste cause profonde significa scoprire i legami nascosti che, nel tempo, hanno trasformato il malessere in un “compagno silenzioso” ma sempre presente, un sottofondo emotivo che, se non affrontato, tende a restare e a plasmare la percezione stessa del mondo e delle proprie possibilità.
Secondo la psicologia psicodinamica, le prime esperienze relazionali giocano un ruolo fondamentale nello sviluppo della personalità e delle predisposizioni emotive di un individuo. La distimia, in questo contesto, può essere interpretata come il risultato di relazioni di attaccamento problematiche, specialmente con le figure primarie di cura (tipicamente i genitori).
L’attaccamento sicuro, caratterizzato da accettazione, supporto e calore emotivo, permette al bambino di sviluppare una percezione stabile e positiva di sé. Al contrario, un attaccamento insicuro o ambivalente può innescare sentimenti di insicurezza, rifiuto e inadeguatezza contribuendo alla formazione di una personalità incline a stati depressivi cronici.
Il bambino che cresce in un ambiente in cui le figure di riferimento sono critiche, distaccate o incoerenti nell’affetto e nella disponibilità emotiva tende a interiorizzare un senso di inadeguatezza, svalutazione e solitudine. Questi sentimenti diventano parte integrante del sé portando alla formazione di un’autocritica pervasiva e di aspettative negative rispetto al proprio valore personale.
Tali dinamiche pongono le basi per la distimia, dove l’individuo può esperire un perenne senso di tristezza e insoddisfazione percependo il proprio stato d’animo come “normale” e abituale.
Un altro elemento rilevante nella comprensione della distimia è il ruolo del Super-Io. Nel modello freudiano, il Super-Io rappresenta l’istanza normativa della personalità, che regola l’Io attraverso l’introiezione di norme morali e sociali.
In individui predisposti alla distimia, il Super-Io tende a svilupparsi in modo particolarmente rigido e punitivo generando un’autocritica intensa e costante. Questo Super-Io critico può essere il risultato di un’educazione severa o di aspettative genitoriali eccessivamente alte che portano il bambino a sentirsi costantemente inadeguato o incapace di soddisfare le richieste esterne.
La voce interiore del Super-Io rigido si traduce in un dialogo interno pervaso da giudizi negativi e da una svalutazione costante del proprio valore. Questo stile di pensiero, che diventa strutturale, sostiene uno stato d’animo depresso che si stabilizza nel tempo contribuendo alla cronicità della distimia.
La persona, quindi, vive con un senso costante di inadeguatezza, difficilmente modificabile a causa della profondità delle radici intrapsichiche di questo schema.
La teoria delle relazioni oggettuali, una corrente della psicodinamica, pone l’accento sull’importanza delle rappresentazioni interiorizzate delle figure di attaccamento. Secondo questa teoria, gli individui che sviluppano una tendenza alla distimia possono aver interiorizzato una rappresentazione negativa o conflittuale delle figure genitoriali. Quando i genitori sono eccessivamente critici, freddi o distaccati, il bambino può formare un’immagine di sé come non amabile o non degno di attenzione.
Nella distimia, questa identificazione con figure genitoriali problematiche porta a una strutturazione della personalità in cui il Sé si percepisce perennemente privo di valore e affetto. Questo senso di inadeguatezza diventa stabile e cronico portando l’individuo a esperire la vita in una modalità depressiva, con bassa autostima e una percezione negativa delle relazioni sociali.
Un altro aspetto rilevante nella distimia è la difficoltà a riconoscere e ad esprimere le proprie emozioni, soprattutto quelle dolorose o percepite come inaccettabili. In molti individui che soffrono di distimia vi è una tendenza a reprimere sentimenti di rabbia, frustrazione e delusione, in quanto considerati inappropriati o pericolosi.
La repressione emotiva diventa una strategia difensiva inconscia, sviluppata per evitare il conflitto o il rifiuto. Tuttavia, questa mancanza di espressione di sé porta a un accumulo di tensioni interne che alimentano la tristezza cronica e il malessere tipici della distimia.
Questi vissuti repressi non trovano spazio di elaborazione conscia e, di conseguenza, si trasformano in una sofferenza psicologica costante che non sembra avere una causa specifica. La persona con distimia vive quindi in uno stato di malessere indefinito e diffuso, un sentimento di fondo che la psicologia psicodinamica interpreta come il risultato della mancata integrazione delle emozioni e dei desideri autentici nella coscienza.
Un altro elemento importante nella comprensione psicodinamica della distimia è la presenza di un ideale dell’Io troppo elevato o irrealizzabile.
Ma in che cosa consiste l’Ideale dell’Io? L’Ideale dell’Io è un concetto psicoanalitico che rappresenta l’insieme delle aspirazioni, degli obiettivi e dei valori che l’individuo considera perfetti e desiderabili per se stesso. È la parte dell’apparato psichico che incarna l’immagine ideale di ciò che la persona vorrebbe essere, ispirata dalle figure di riferimento interiorizzate, come genitori, figure educative o modelli culturali.
L’Ideale dell’Io funge da guida e modello per l’auto-valutazione ma può diventare fonte di conflitto e frustrazione se troppo elevato o irrealizzabile contribuendo alla formazione di un senso di insufficienza e insoddisfazione. Infatti è quello che capita nelle dinamiche intrapsichiche che portano alla distimia.
Quando l’individuo sviluppa aspettative e obiettivi molto ambiziosi, spesso irraggiungibili, può trovarsi in un costante stato di frustrazione e delusione rispetto alla propria realtà. Questa discrepanza tra ciò che l’individuo è e ciò che vorrebbe essere si traduce in un senso di fallimento persistente che può degenerare in uno stato di umore cronicamente depresso.
Per coloro che soffrono di distimia, l’ideale dell’Io irrealizzabile porta a vivere in un costante stato di insoddisfazione in cui la vita sembra priva di significato o scopo. La psicoanalisi interpreta questo come un meccanismo di difesa che protegge l’individuo dall’affrontare la propria vulnerabilità ma che, al tempo stesso, lo imprigiona in un circolo vizioso di aspettative irrealizzabili e continui insuccessi.
La psicoterapia rappresenta l’approccio privilegiato per il trattamento della distimia, poiché gli interventi farmacologici risultano meno efficaci rispetto alla depressione. In particolare, la psicoterapia individuale psicodinamica è comunemente considerata l’opzione terapeutica più indicata per affrontare e superare il disturbo, con effetti benefici a lungo termine.
La psicoterapia psicodinamica si concentra principalmente sulla risoluzione dei conflitti emotivi, in particolare quelli derivanti da esperienze infantili, per affrontare le sfide personali, le perdite e le separazioni che possono contribuire alla condizione di tristezza e apatia tipica del disturbo distimico. Questo tipo di approccio terapeutico opera su vari livelli contribuendo innanzitutto alla comprensione e alla gestione dei sintomi dell’umore, dei sentimenti, delle idee e dei comportamenti.
Nel trattamento psicologico di questi pazienti è importante identificare e affrontare i pensieri disfunzionali che possono minare l’autostima e contribuire al persistere del disagio distimico.
La psicoterapia mira anche a esplorare e comprendere a livello più profondo i conflitti interiori favorendo così il miglioramento dell’autostima e della visione di sé.
Durante il percorso terapeutico viene posta un’attenzione particolare ai “circoli viziosi del pensiero” che caratterizzano la condizione depressiva del paziente. Questo consente al paziente di liberarsi a poco a poco di queste “ruminazioni mentali” attraverso l’acquisizione di nuove modalità di pensiero e di comportamento più funzionali.
Infine, considerando che la distimia è un disturbo cronico, la terapia si concentra anche sull’adattamento dello stile di vita del soggetto, così come sull’implementazione di strategie quotidiane per prevenire eventuali ricadute. Tali strategie favoriscono l’adozione di approcci alternativi alle sfide della vita e ai propri stati d’animo e aiutano a mantenere uno stile di vita in linea con i reali bisogni.
Dott. Davide Ivan Caricchi
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