Transfert e controtransfert sono due elementi cardine di un percorso di psicoterapia. È a partire dall’analisi di queste due variabili che si sviluppa il processo di crescita emotiva del paziente e la conseguente risoluzione della sintomatologia.
In un precedente articolo avevamo descritto il fenomeno del transfert: esso consiste in quell’insieme di sentimenti che a poco a poco il paziente matura verso il terapeuta. Fin qui niente di così sconcertante: tutti noi nel percorso di conoscenza di una persona sviluppiamo dei sentimenti (positivi o negativi) nei confronti di una specifica persona. Tuttavia, i sentimenti del paziente nei confronti dello psicologo o dello psicologo online non sono “casuali”: essi sono il risultato della riedizione di antiche dinamiche familiari che il paziente ha vissuto nella sua infanzia e che hanno determinato col passare del tempo la struttura della sua personalità. L’analisi del transfert del paziente da parte dello psicoterapeuta ha delle implicazioni terapeutiche importantissime che se portate nel “campo” della seduta, con la giusta delicatezza e competenza, sono funzionali al percorso di crescita del paziente.
E il controtransfert invece? Che cos’è? E che ruolo ha nel percorso psicologico? Scopriamolo.
Che cosa si intende per controtransfert? Il controtransfert non è altro che l’insieme di vissuti e sentimenti che il terapeuta sviluppa nei confronti del paziente.
Per molto tempo si è assistito ad un acceso dibattito sull’utilità di questo fenomeno psichico da un punto di vista terapeutico. Alcuni studiosi ritenevano che il controtransfert fosse dannoso per il percorso psicologico e che il terapeuta dovesse contenerlo il più possibile, in quanto pesante variabile di disturbo. Altri studiosi, al contrario, ritenevano che il controtransfert fosse di importanza decisiva per il terapeuta, al fine di comprendere la struttura di personalità del paziente.
Fu Sigmund Freud a riconoscere e nominare per primo il fenomeno del controtransfert definendolo come quell’insieme di emozioni che affiorano nel terapeuta a seguito dell’impatto che ha il paziente su di lui e sui suoi contenuti inconsci.
Freud intravide una valenza negativa nell’insorgenza di questi sentimenti dell’analista considerandoli una resistenza inconscia all’analisi del paziente. Secondo Freud, pertanto, il controtransfert rappresentava una sgradevole variabile di disturbo che andava gestita e fronteggiata dallo psicologo tramite un rigoroso atteggiamento di neutralità all’interno della seduta. Freud riteneva che il terapeuta, nel corso della seduta, dovesse “accantonare” tutte le emozioni che il paziente suscitava, ogni risonanza emotiva che il paziente potesse elicitare e concentrarsi con ogni sforzo intellettuale possibile sulle interpretazioni dei contenuti psichici riportati dal paziente.
Con Sandor Ferenczi, invece, il fenomeno del controtransfert viene visto in un’ottica diversa. Con le teorizzazioni dello psicoanalista ungherese, esso infatti assume delle connotazioni alquanto positive ai fini del percorso terapeutico.
Come abbiamo accennato, Freud considerava il controtransfert un qualcosa che andava a compromettere la pratica psicoanalitica.
Sandor Ferenczi, nel suo saggio del 1919 sulla tecnica psicoanalitica, sottolinea l’importanza della capacità di risonanza emotiva verso il paziente, così come delle sensazioni che ogni paziente suscita nel corso della seduta: anche queste sono preziose componenti di ascolto e osservazione del paziente da parte dello psicologo, al fine di sondarne l’inconscio e i contenuti più profondi. Al tempo stesso Ferenczi fa notare come sia importante gestire al meglio il proprio modo di porsi nei confronti del paziente, così da non compromettere la qualità del lavoro terapeutico.
Ferenczi riteneva che prima di prendere in carico un paziente in un percorso psicoanalitico, il terapeuta doveva intraprendere un suo personalissimo percorso di analisi per lavorare sui suoi contenuti inconsci, così da saperli fronteggiare al meglio quando venivano sollecitati in seduta col paziente sotto forma di vissuti controtransferali.
Con Paula Heimann e i suoi lavori sull’argomento, si scoprì come il controtransfert rappresentasse un fondamentale strumento di conoscenza delle dinamiche che si manifestano all’interno della relazione terapeutica. Esso, insieme agli interventi di interpretazione, è da considerarsi per Heimann un mezzo terapeutico di vitale importanza che conferisce significato alla relazione terapeutica.
Nei suoi scritti teorici, Paula Heimann sostiene che il controtransfert non è una reazione oppositiva dello psicologo verso i sentimenti e le emozioni riportate in seduta dal paziente, bensì quel coacervo di vissuti e sensazioni che l’atteggiamento del paziente suscita al terapeuta in seduta. Tali vissuti forniscono informazioni importantissime sul funzionamento psichico del paziente. Pertanto, secondo Heimann, il controtransfert non va rigettato e rimosso, come secondo Freud, bensì ascoltato e fatto fluire nel corso della seduta, in quanto fonte di fondamentali implicazioni dal punto di vista terapeutico.
Con Paula Heimann si assiste ad un vero e proprio “cambio di passo” nel modo di concepire il rapporto terapeuta-paziente, dove il controtransfert diventa uno strumento di indagine e conoscenza del mondo interno del paziente e del suo inconscio. È importante fare una doverosa precisazione: Paula Heimann non rinnega l’importanza di un atteggiamento neutrale e di un’attenzione fluttuante nel corso della seduta da parte del terapeuta, assetto che consente di monitorare le libere associazioni portate nel colloquio psicologico così da accoglierle ed elaborarle a molteplici livelli; tuttavia ritiene che sia altrettanto importante usare la propria risonanza emotiva per quel che succede in seduta, così da poter cogliere e analizzare le dinamiche affettive e i contenuti inconsci riportati dal paziente. Secondo Heimann questo è l’approccio più efficace e agevole per rispondere nella maniera più efficace alla profonda richiesta di aiuto di un paziente che riporta problematiche di ansia, depressione o altri disagi psichici più o meno severi.
Nel prossimo articolo sull’argomento approfondiremo le principali fasi che contraddistinguono il fenomeno del controtransfert, oltre alle ulteriori teorizzazioni portate dai clinici più recenti che si sono occupati di questa tematica.
Come detto in precedenza, fu Sandor Ferenczi il primo clinico a intravedere una preziosa valenza terapeutica nel controtransfert e questo ahimè gli costò ai tempi disapprovazione e ostracismo da parte dell’ambiente psicoanalitico, in quanto non in linea con la teoria freudiana ortodossa.
Nell’analizzare il fenomeno, Ferenczi individuò tre fasi da attraversare per poter giungere ad una soddisfacente gestione del controtransfert:
– La prima fase è quella meno gestibile, la più “emozionale”, quella in cui lo psicologo non è ancora nelle condizioni di controllare il controtransfert, pertanto i vissuti che genera il paziente in seduta vengono esperiti dall’analista in maniera alquanto intensa.
In questa fase non è ancora possibile fare un lavoro terapeutico proficuo, è una tappa interlocutoria.
– La seconda fase, definita invece “resistenza al controtransfert”, è contraddistinta da una reazione opposta alla prima fase, allo stesso modo rischiosa. In questa fase il terapeuta acquisisce consapevolezza della propria risonanza emotiva ma teme di diventare eccessivamente rigido o difeso verso il paziente, a seguito di quello che prova.
– La terza fase, quella più definita e terapeutica, consiste nella cosiddetta “padronanza del controtransfert”, ossia quella fase in cui si sono affrontate ed elaborate adeguatamente le due fasi precedenti e che porta il clinico a vivere il controtransfert non più come una limitazione o uno sbarramento alla riuscita del percorso psicologico, bensì come un preziosissimo strumento terapeutico che aiuta a comprendere meglio il paziente e a fornire degli interventi interpretativi efficaci e trasformativi.
Ovviamente il controtransfert è un fenomeno psichico molto delicato che chiama in causa le capacità di empatia e identificazione del terapeuta con le problematiche del paziente e il suo mondo interno. Esso però può avere i suoi risvolti negativi nel rapporto terapeutico se lo psicologo non riesce a gestire bene il controtransfert facendosene travolgere: il paziente, inconsapevolmente, genera delle dinamiche relazionali che portano a quel fenomeno definito “rovesciamento di ruoli” dove fa provare al terapeuta tutte le emozioni e vissuti traumatici che ha esperito nella sua storia familiare ricreando le antiche condizioni emotive che sperimentato da bambino.
In generale, il controtransfert può è essere un preziosissimo strumento terapeutico che può risultare decisivo nella riuscita della psicoterapia o dell’analisi, tuttavia, se gestito male, può rivelarsi un ostacolo molto pericoloso che può compromettere l’alleanza terapeutica. Ecco che un’analisi personale del terapeuta sarebbe auspicabile proprio per poter gestire in maniera adeguata le future dinamiche controtransferali che accompagnano i percorsi psicologici.
Dott. Davide Ivan Caricchi
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