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Scritto dal Dott. Davide Caricchi
Scritto il 21 Ott, 2022

Il fenomeno clinico della depressione e dei disturbi dell’umore

Il fenomeno clinico della depressione e dei disturbi dell’umore richiede un’analisi approfondita e articolata. Quando utilizziamo il termine “depressione”, andiamo a toccare un “universo” della sofferenza psichica e dei disturbi dell’umore che è legato anche all’organizzazione di personalità dell’individuo, nel senso che la presenza eventuale di uno specifico disturbo di personalità può andare a “complicare” ulteriormente il quadro depressivo del paziente.
In ambito clinico, quando si parla di depressione, solitamente si intende la depressione maggiore, un grave disturbo con umore abbattuto che spesso si va a inscrivere in un disturbo dell’umore piuttosto serio che prende il nome di “Disturbo Bipolare” e che comporta l’alternarsi di episodi di umore anormalmente euforico ad episodi di grave tristezza vitale e umore depresso.
Ma i disturbi depressivi e le problematiche dell’umore comprendono diverse sfumature che in questo lavoro andremo ad analizzare in maniera puntuale.

I disturbi dell’umore

Per analizzare a fondo il fenomeno della depressione è necessario partire dalla definizione generale e dall’insieme di disturbi in cui essa è inserita: i disturbi dell’umore.
I disturbi dell’umore possono essere considerati come un complesso di disturbi psichici alquanto eterogenei che tuttavia sono accomunati da un aspetto: l’alterazione anomala del tono dell’umore. Non è un caso che sia stata utilizzata la parola “anomala”, in quanto tutti noi, a seguito di situazioni stressanti, eventi luttuosi, momenti di vita delicati, possiamo andare incontro ad un’alterazione dell’umore: il problema si presenta quando questa alterazione dell’umore assume delle dimensioni spropositate, persiste per molto tempo e risulta slegata ad eventi di vita stressogeni.
Possiamo avere tre tipi di alterazioni del tono dell’umore: 1) tono dell’umore depresso; 2) tono dell’umore maniacale; 3) tono dell’umore misto.
La condizione di depressione è contraddistinta principalmente da tristezza vitale, anedonia (perdita di piacere nel fare le cose che in precedenza generavano appagamento), senso di colpa opprimente: nella sezione dedicata approfondiremo ulteriormente la sintomatologia che caratterizza l’episodio depressivo maggiore.
La condizione maniacale presenta uno stato d’animo euforico anomalo e persistente con possibili episodi di logorrea e attività spericolate e pericolose.
L’umore misto, detto anche umore disforico, è contraddistinto dalla copresenza di sintomatologia depressiva e maniacale nel corso dello stesso periodo.

Distinzione tra depressione unipolare e disturbi bipolari

Depressione e maniacalità sono i due elementi cardine che vanno a caratterizzare i disturbi dell’umore. Tali condizioni si possono considerare i due estremi di un continuum che va a caratterizzare le molteplici sfumature e sfaccettature delle problematiche legate all’umore. Può sembrare un incredibile paradosso ma, come vedremo in seguito, depressione e mania rappresentano le due “facce della stessa medaglia” di una reazione ad un doloroso vissuto (reale o immag inario) di perdita: in un caso, l’episodio depressivo maggiore, assistiamo ad uno sgretolamento di significato della vita che ruota intorno al vissuto di perdita, nell’altro, l’episodio maniacale, assistiamo alla totale negazione del dolore riconducibile ad una perdita. Pertanto, quando neghiamo in maniera totalizzante che qualcosa non vada, non possiamo che ritrovarci in una condizione di euforia: nella maniacalità questo fenomeno viene portato drammaticamente agli estremi.
Abbiamo due tipologie di manifestazioni gravi dei disturbi dell’umore: 1) una è la depressione unipolare, ossia quella condizione psicopatologica dove si manifesta esclusivamente umore depresso. Tali episodi di depressione unipolari sono alternati a fasi in cui l’umore è relativamente stabile; 2) l’altra è rappresentata dai disturbi bipolari, ossia quelle manifestazioni psicopatologiche in cui si alternano episodi depressivi maggiori a episodi maniacali, cioè quegli episodi caratterizzati da uno stato euforico abnorme. Abbiamo due gradi di intensità di tono dell’umore maniacale: uno più contenuto, che prende il nome di episodio ipomaniacale, l’altro più intenso e debordante che viene definito episodio maniacale.

Classificazione nosografica dei disturbi dell’umore secondo il DSM-V

Fatta la doverosa distinzione tra differenti tipologie di alterazione dell’umore e tra depressione unipolare e bipolare, possiamo concentrarci su una più organica classificazione nosografica dei disturbi dell’umore.
Il DSM-V (Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali) distingue per prima cosa tra: 1) disturbi depressivi e 2) disturbi bipolari.
Nei disturbi depressivi troviamo due manifestazioni psicopatologiche: la depressione maggiore e la distimia.
1) Della depressione maggiore abbiamo accennato in precedenza: essa può presentarsi in uno o più episodi depressivi maggiori.
La distimia, invece, è una forma depressiva la cui sintomatologia è più attenuata ma di maggiore durata (almeno due anni). Essa inoltre non presenta caratteristiche di episodicità, bensì un costante sottofondo di sintomatologia depressiva. la distimia può esssere considerata una forma attenuata du depressione.
2) I disturbi bipolari si suddividono invece in tre quadri clinici:
– il disturbo bipolare I, in cui riscontriamo uno o più episodi maniacali (o misti) che si alternano solitamente ad uno o più episodi depressivi. È importante tenere a mente, tuttavia, che è sufficiente un singolo episodio maniacale per porre diagnosi di disturbo bipolare I;
– Il disturbo bipolare II, dove troviamo uno o più episodi depressivi e almeno un episodio ipomaniacale che, come detto in precedenza, è una forma più attenuata di tono dell’umore euforico.
– la ciclotimia: dal punto di vista sintomatologico, si può considerare una forma più lieve rispetto al disturbo bipolare. La ciclotomia può essere definita un vero e proprio disturbo cronico dell’umore: la durata è di almeno due anni. In tale disturbo si manifestano diversi episodi di umore depresso e molteplici episodi ipomaniacali ma non tali da soddisfare né i criteri necessari per porre diagnosi di episodio depressivo maggiore né i criteri necessari per porre diagnosi di episodio maniacale. Nel corso di questo disturbo psichico, il paziente non risulta mai completamente libero dai sintomi ciclotimici per più di due mesi.
Come il disturbo distimico, la ciclotimia presenta un marcato carattere di cronicità. La depressione maggiore presenta invece caratteri di episodicità. 

La depressione o “le depressioni”?

Come uscire dalla depressione? Questo è un dilemma di difficilissima soluzione, in quanto ogni individuo, a partire dalla sua storia di vita e dalla sua sensibilità, sviluppa la sua personalissima forma di depressione.
Tuttavia abbiamo degli elementi diagnostici di base che ci permettono di capire con quale tipo di forma depressiva abbiamo a che fare. Riuscire ad individuare il tipo di depressione con cui abbiamo a che fare è il punto di partenza fondamentale per comprendere quale tipo di intervento psicoterapeutico (ed eventualmente farmacologico) è più indicato per quella specifica persona. Ecco che per lo psicologo la diagnosi rappresenta una fase decisiva per l’inizio del percorso psicologico. Pertanto, come prima cosa, per poter uscire dalla depressione è fondamentale capire con che tipo di depressione abbiamo a che fare, e cercare di fare il più possibile “lavoro di squadra” con il paziente, a partire dalle sue peculiarità psicopatologiche.
Il temine “depressione” è molto diffuso e utilizzato nel linguaggio corrente, talvolta in maniera impropria. La depressione può essere definita come una condizione di profonda tristezza associata ad un intenso stato di insoddisfazione e pessimismo. Tale forma di tristezza può presentarsi anche in condizioni normali! È importante non demonizzare un’emozione primaria quale la tristezza: essa svolge anche una funzione riparativa che consente di elaborare le cose che succedono nella vita e di darci un significato.
La depressione in quanto sintomo è un fenomeno che possiamo riscontrare in innumerevoli patologie e non soltanto psichiatriche. Ritroviamo tale disturbo anche in malattie organiche quali diabete, patologie endocrine, ecc.
In ambito psichiatrico, invece, le sindromi depressive si suddividono in due macro-aree:
1) La depressione endogena;
2) La depressione psicogena: che a sua volta si suddivide in a) depressione endogena e b) depressione psicogena.

Depressione endogena

La depressione endogena è una forma di depressione in cui la sintomatologia si abbatte improvvisamente nella vita del paziente senza che si riesca a collegare la cosa ad eventi significativi. Nella depressione endogena si assiste ad una vera e propria “frattura” nella vita del paziente dove si riscontra un “prima” e un “dopo”.
La caratteristica principale della depressione endogena è la tristezza vitale, una tristezza intensa e pervasiva che va a intaccare la struttura profonda della personalità dell’individuo. Con questo stato d’animo, il soggetto avverte un senso di oppressione e pesantezza che porta anche ad una sofferenza a livello somatico: come se ad un certo punto il corpo “parlasse”, o meglio, una parte del corpo comunicasse sottoforma di dolore o senso di oppressione o pesantezza (alla testa, al cuore, ecc.).
Come detto in precedenza, la depressione endogena può presentarsi in due forme:
a) Forma bipolare, caratterizzata da susseguirsi in maniera irregolare di episodi depressivi e maniacali;
b) Forma monopolare, caratterizzata esclusivamente da episodi depressivi.

Diversi studi hanno evidenziato che le forme monopolari costituirebbero i due terzi delle depressioni endogene.
Nell’alveo delle depressioni endogene è spesso inclusa la depressione psicotica. Essa si riscontra quanto la sintomatologia depressiva giunge a livelli estremi di gravità che portano ad una significativa compromissione dell’esame di realtà e assenza di consapevolezza di malattia, fenomeni che possono essere associati ad episodi francamente psicotici quali i deliri.

Depressione psicogena

Le depressioni psicogene sono quei disturbi dell’umore che presentano cause psicologiche di natura inconscia oppure riconducibili a eventi fonte di sofferenza e conflittualità.
A questo gruppo di disturbi dell’umore appartengono due tipologie di depressione: la depressione reattiva e la depressione nevrotica.
Nella depressione reattiva si individua in un evento doloroso della vita la causa principale dell’esordio della sintomatologia depressiva che tuttavia, col passare del tempo, invece che attenuarsi tende ad accentuarsi o a cronicizzarsi.
Inizialmente, la sintomatologia depressiva può risultare ragionevolmente legata all’evento doloroso. Successivamente, la reazione depressiva si intensifica in maniera ingiustificata in termini di sintomatologia e di durata, anche si rimane comprensibile la causa originaria della reazione depressiva. Compito dello psicologo e dello psicologo online sarà quello di andare a lavorare sulle conflittualità più profonde che hanno contribuito a ingigantire un’iniziale reazione depressiva ad un evento fonte di sofferenza psichica. È a partire dalla presenza di queste conflittualità che talvolta non è facile operare una distinzione così netta tra depressione reattiva e depressione nevrotica.
La depressione nevrotica è quel tipo di disagio psichico dove le fragilità interiori, la debolezza delle difese e la debolezza dell’Io concorrono in maniera significativa nell’insorgenza della sintomatologia depressiva. In questo quadro generale di sofferenza psichica, eventi di vita dolorosi si vanno a legare in maniera al quanto articolata e complessa andando a riattivare antiche conflittualità inconsce.

Quali sono le caratteristiche cliniche della depressione endogena?

La depressione endogena presenta una connotazione di natura “fisica”, ha una durata variabile e può presentarsi sottoforma di episodio isolato oppure può manifestarsi con episodi ricorrenti, in questo caso parleremo di depressione endogena monopolare.
L’elemento cardine della depressione endogena è la cosiddetta “tristezza vitale”, ossia quella tristezza che non è soltanto psichica ma anche somatica e che si concretizza in un nucleo depressivo monolitico e non scalfibile, pesante e inaccessibile che cresce sempre più fino a coinvolgere la stragrande maggioranza delle funzioni psichiche del soggetto, con conseguente rottura di quel senso di continuità psichica dell’individuo che va a conferire significato all’esistenza. Ecco che allora eventi di modesta portata acquisiscono un significato negativo ed esagerato per il paziente depresso: talvolta l’evento diventa l’ennesima riprova di un destino infausto e all’insegna della perenne sofferenza, uno strenuo tentativo da parte del soggetto di dare un significato ad un dolore psichico pervasivo.
Come detto, la tristezza vitale è esperita anche a livello corporeo in maniera opprimente. Spesso tale “peso” viene avvertito all’altezza del petto o della testa. Per il paziente è difficile dare un nome o una descrizione a questo stato d’animo, tanto è pressante e inesprimibile, con conseguente spaesamento di familiari e persone care che sovente non sanno come rapportarsi di fronte ad una condizione psichica come questa.
Tale condizione depressiva, se non trattata con un percorso psichiatrico e con un percorso psicologico, diventa un qualcosa di debordante e “totalizzante” che porta ad un’inquietante trasformazione del tempo vissuto: si assiste ad un vero e proprio arresto del divenire psichico, si perde completamente la progettualità. Il presente del paziente depresso si “dilata” a dismisura e il passato assume tinte sempre più fosche e disperate. In diverse circostanze, eventi poco rilevanti acquisiscono un significato cupo, all’insegna dell’autosvalutazione e della colpa.

La presenza di deliri nelle forme più gravi di depressione endogena

Nelle depressioni endogene si assiste ad un rallentamento del pensiero, conseguente impoverimento del pensiero. Talvolta l’ideazione e il processo di pensiero stesso risulta difficoltoso e si focalizza su pochissime tematiche, quasi sempre a sfondo depressivo. Il pensiero può arrivare ad un livello tale di compromissione da degenerare in deliri strettamente riconducibili allo stato d’animo del soggetto. I contenuti dei deliri nella depressione endogena sono principalmente legati alla colpa e alle fantasie di rovina.
In cosa consiste il delirio di rovina? Esso consiste in una ferma e incrollabile convinzione di ritrovarsi in uno stato di miseria e indigenza: nella realtà psicologica del paziente gravemente depresso, la condizione di povertà sarebbe tale da non consentire il sostentamento di sé dei propri familiari. Il paziente depresso è convinto che tale (presunta) situazione economica “disastrata” è da ricondurre esclusivamente a lui.
Quali considerazioni possiamo fare invece riguardo i deliri di colpa? Il delirio di colpa può essere considerata la manifestazione più seria del vissuto di colpa. Abbiamo due tipi di colpa:
1) colpa primaria, una forma di colpa completamente inscalfibile e con una connotazione delirante;
2) colpa secondaria, una risposta emotiva alla tristezza e all’inibizione

La colpa delirante può essere collegata a tematiche religiose o morali per giungere nelle forme estreme alla cosiddetta “colpa esistenziale”, ossia quel devastante senso di colpa per il semplice fatto di esistere.

Ma i deliri di colpa e di rovina non sono gli unici deliri che possono insorgere nelle forme più gravi di depressione endogena: possono affiorare anche deliri di natura ipocondriaca per cui l’individuo è convinto di aver contratto una malattia grave o mortale, oppure possono emergere deliri a sfondo persecutorio o di riferimento non congrui con il tono dell’umore. Un’altra tipologia di delirio che possiamo trovare nelle depressioni endogene è il delirio di negazione, ossia quel deliro in cui si nega o non si riconosce il proprio corpo o parti del proprio corpo: nelle forme più estreme di tale delirio si arriva anche a negare l’esistenza stessa del proprio corpo o di una sua parte.
Oltre alla presenza dei deliri, un altro prezioso indicatore della presenza di una depressione endogena per lo psicologo e lo psicologo online è rappresentato dalla mancanza di insight, ossia la totale assenza di consapevolezza di malattia. È importante tuttavia fare una doverosa precisazione: non è automatico che con le depressioni endogene affiorino deliri e mancanza di consapevolezza di malattia, anzi, con l’avvento di farmaci antidepressivi sempre più efficaci e mirati, è sempre più frequente riscontrare la conservazione dell’insight e una diminuzione della sintomatologia (come per esempio i deliri).

Distanza affettiva e altre alterazioni tipiche della depressione endogena

Anche quando non si declina nelle sue forme più francamente psicotiche, la depressione endogena presenta comunque uno stato clinico contraddistinto da una lancinante sofferenza psichica. Vissuti quali tristezza vitale, senso di colpa, anedonia e impossibilità a provare gioia vengono spesso affiancati da una condizione di distanza emotiva nei confronti delle persone, con conseguente senso di distacco e alienazione. Sovente il paziente depresso avverte un senso si svuotamento per quel che concerne la sua vita e si sente incapace di amare. Questo porta a delle conseguenze alquanto negative anche sul piano motorio: il linguaggio del corpo dell’individuo depresso è improntato all’inibizione e all’inerzia psichica, la mimica facciale sembra bloccata. Anche l’eloquio si inibisce facendosi alquanto ridotto: il soggetto depresso è in linea di massima taciturno, risponde a monosillabi, i suoi discorsi sono alquanto concisi, il tono della voce flebile. Anche l’incedere si fa spesso pesante rendendo in maniera ancora più plastica il senso di apatia che attanaglia la persona depressa.
Talvolta nelle forme monopolari di disturbo dell’umore (ossia quei disturbi dell’umore dove troviamo soltanto fasi di depressione maggiore e non anche fasi di maniacalità) assistiamo ad un fenomeno clinico opposto: un’alterazione motoria e un perenne stato di agitazione, irrequietezza irritabilità. Questa forma di irrequietezza può talvolta risultare più pericolosa nelle sue manifestazioni più gravi, in quanto il paziente depresso, disperato ma al tempo stesso più attivo e disinibito, può mettere in atto con maggior facilità eventuali ideazioni suicidarie. 

Per quel che concerne le alterazioni sul campo vegetativo, nelle depressioni endogene assistiamo a problemi nel ritmo sonno-veglia: i sintomi più frequenti sono l’ipersonnia diurna e l’insonnia notturna.
Fenomeno molto diffuso in questo tipo di depressione è la cosiddetta insonnia da risveglio precoce dove il paziente si addormenta abbastanza presto e agevolmente per poi risvegliarsi poche ore dopo con un dolorosissimo vissuto di disperazione che impedisce di riaddormentarsi.
Altri disturbi che si riscontrano sul piano vegetativo sono l’inappetenza, la perdita di peso, la stipsi, il calo della libido, ecc. Solitamente l’andamento di questa sintomatologia è fluttuante con peggioramento nel corso della mattina e lieve miglioramento verso sera.

Depressione endogena e rischio suicidario

Nell’ambito delle depressioni endogene, il pericolo maggiore è rappresentato dalla possibilità che l’episodio depressivo sfoci in un atto suicidario. Questo rischio è maggiore nella fase iniziale e in quella finale dell’episodio depressivo, pertanto, in un percorso di supporto psicologico di rete (psicologi, psichiatri, eventuali educatori e infermieri) è fondamentale monitorare attentamente queste due fasi.
Ma perché queste due fasi dell’episodio depressivo sono le più delicate in un’ottica di rischio suicidario? Perché nella fase iniziale l’inibizione motoria (quella che impedisce di mettere in atto concretamente il gesto suicidario) non si è ancora intensificata e successivamente stabilizzata, mentre nella fase finale l’inibizione non c’è più ma il vissuto depressivo può essere ancora presente in maniera significativa dando pertanto il “la” ad un agito impulsivo che può portare al suicidio.
L’episodio depressivo, comprensivo di esordio, fase centrale e fase residuale, dura in media dai 6 agli 8 mesi, quando non viene trattato efficacemente. La durata, tuttavia, può essere anche maggiore quando permangono dei sintomi residuali che generano un “sottofondo depressivo” responsabile di una cronicizzazione della problematica depressiva. In questi casi la durata può essere di due anni o più.
Nelle forme bipolari di disturbo dell’umore (con presenza di episodi maniacali) la durata degli episodi depressivi è inferiore, così come è spesso inferiore l’età di esordio, tra i 20 e i 30 anni.

Quali sono le caratteristiche cliniche della depressione psicogena?

La depressione psicogena presenta un andamento alquanto differente rispetto alla depressione endogena. Essa si caratterizza per una condizione depressiva persistente accompagnata da un sottofondo di frustrazione e pessimismo che tuttavia non tocca le “punte” di disperazione tipiche della depressione endogena e non giunge a quella rottura traumatica nel continuum di esperienza di vita del soggetto.
Possiamo distinguere due tipologie di depressione psicogena:
1) La depressione reattiva: dove la sintomatologia e il vissuto depressivo insorgono in concomitanza di una reale esperienza di perdita che può concretizzarsi non soltanto in un lutto ma anche in un insuccesso o in un repentino cambiamento nella vita (anche positivo!), insomma, in qualcosa che l’apparato psichico non è pronto ad affrontare;
2) La depressione nevrotica: disturbo depressivo che si sviluppa in assenza di un vero e proprio evento scatenante ma a seguito di una serie di vissuti frustranti e inquietudini prolungate, non necessariamente intense che si intrecciano con una fragilità di fondo dell’Io che porta alla riattivazione dolorosa di antichi conflitti inconsci.
In generale, nelle depressioni psicogene la tristezza può associarsi a vissuti di disperazione e solitudine, pur in un contesto dove sia i rapporti sociali che la progettualità rimangono, a differenza della depressione endogena dove questi aspetti risultano drammaticamente compromessi.
Spesso nelle depressioni psicogene facciamo i conti con un “sottobosco” di sintomi ansiosi che generano nel paziente inquietudine, insofferenza e lamentosità.

 

 

 

 

 

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