In questo articolo della dottoressa Giusy Evelin Licata approfondiremo una dinamica ahimè molto diffusa in coppie disfunzionali dove l’aggressore, all’interno della coppia, assume atteggiamenti talmente opprimenti e prevaricatori da porre spesso la vittima in condizioni di tremendo pericolo, anche per la propria incolumità fisica: la relazione di co-dipendenza tra vittima e aggrressore.
La relazione tra vittima e aggressore sembra avere le caratteristiche di una relazione di co-dipendenza, dove il partner organizza la sua esistenza in funzione dell’altro: obiettivo dello stare insieme all’altro è salvarlo, anche ove ciò comporti grave sofferenza e implichi comportamenti abusanti o maltrattanti da parte del partner.
Tale stato di co-dipendenza ha le caratteristiche di un invischiamento relazionale e si regge sui processi inconsci di identificazione proiettiva nello stalker e di contro-identificazione proiettiva nella vittima.
Il riferimento all’identificazione proiettiva riguarda la dimensione immaginaria di una relazione in cui una persona proietta una rappresentazione del Sé o di un oggetto interno su un oggetto esterno esercitando su di esso una pressione tale da fargli assumere le caratteristiche proiettate. In rapporto alla qualità della rappresentazione del Sé (buona o cattiva) proiettata, è possibile distinguere l’identificazione proiettiva normale (che si pone alla base dell’empatia) da quella patologica (spinta da esperienze di onnipotenza e di controllo) che è quella che caratterizza la relazione fra stalker e vittima. In particolare, nello stalker l’identificazione proiettiva è contraddistinta dalla presenza di contenuto ossessivi i quali non hanno la sola funzione di preparazione all’azione ma servono a negare profonde ansie abbandoniche attraverso il controllo dell’oggetto esterno su cui sono stati evacuati oggetti interni cattivi. I contenuti ossessivi garantiscono quindi un contatto con la realtà facilitandone anche la manipolazione. Il sentimento di controllo è parte di una triade che comprende altri due sentimenti: il senso di trionfo e il disprezzo. Il trionfo, alimentato dall’onnipotenza, serve ad annegare vissuti depressivi, mentre il disprezzo rappresenta una difesa contro i sentimenti di invidia, di perdita e di vergogna.
L’identificazione proiettiva patologica è un processo articolato in fasi e rappresenta quindi ciò che vincola lo stalker nella relazione con la vittima.
La prima fase consiste nell’identificazione, esplorazione e riconoscimento degli aspetti vulnerabili della vittima come processo necessario al dominio e al controllo di quest’ultima. A motivare lo stalker in questa fase è il suo bisogno impellente di negare l’angoscia di separazione e il lutto che ne consegue. Questa angoscia non metabolizzata, che nasce a seguito dei continui rifiuti da parte della vittima alle sue richieste di contatto e di intimità, alimenta nello stalker le sue reazioni violente. Nella fase successiva ritroviamo la proiezione degli oggetti interni cattivi che vengono “evacuati” e buttati addosso alla vittima.
In conseguenza della qualità negativa degli oggetti interni evacuati, lo stalker comincia a sviluppare anche sentimenti di disprezzo che rappresentano una difesa per i sentimenti di invidia, vergogna e perdita.
Si comincia a fare strada un processo di disumanizzazione della vittima: il destinatario di violenza viene costretto a rinunciare ad ogni visione personale e ad avere un’idea propria. Viene inoltre costretto a vivere e agire secondo il sistema di valori e credenze dell’altro.
Si continua poi con la fase della pressione interpersonale, ovvero l’insieme di comportamenti di pressing finalizzati a indurre la vittima a vivere realmente i sentimenti che in lei sono stati proiettati dall’aggressore. Questa è la fase che caratterizza l’identificazione proiettiva in una relazione patologica tra individui che interagiscono tra loro in un legame di reciproca dipendenza disfunzionale.
È necessario quindi che l’altro sia vulnerabile alla manipolazione perché si possa sviluppare un’identificazione proiettiva.
Infine come ultima fase, ritroviamo la reinternalizzazione onnipotente, meccanismo che conferma nello stalker i sentimenti di superiorità e di controllo sulla vittima garantendo anche la negazione dell’ansia di separazione e la dipendenza patologica dalla vittima. In questa fase, la vittima fa proprie le razionalizzazioni e i sentimenti evacuati dall’offender e, in questo modo, lo stalker viene confermato nell’esercizio del controllo e del potere sulla vittima che si trova incapace di reagire nei confronti del suo persecutore, in conseguenza di sentimenti di colpa, inferiorità e vergogna.
In sintesi, le identificazioni proiettive dello stalker sono controllanti e intrusive, ossessive e onnipotenti, caratterizzate da uno pseudo-contatto con la realtà, la cui natura violenta non transitoria agisce innescando contro-identificazione proiettive nella vittima. Il riferimento alla contro-identificazione proiettiva risulta essenziale per comprendere anche le dinamiche relazionali che coinvolgono la vittima.
La relazione fra stalker e vittima si muove infatti sui binari di un disturbo relazionale condiviso, un invischiamento di coppia reso possibile dalle identificazioni proiettive dello stalker e dalle contro-identificazioni proiettive della vittima.
La contro-identificazione proiettiva della vittima si articola in quattro fasi: la prima è la contro-identificazione con le esigenze di dominio dello stalker, nel tentativo di controllare la propria ansia di separazione. Questa prima fase rappresenta il riemergere di timori e paure non metabolizzate. Riemergono quelle angosce infantili, relative al bisogno di autonomia e indipendenza che nascono a seguito di relazioni primarie non sicure.
La seconda fase consiste nel sentimento di vergogna e di inadeguatezza che portano ad uno stato di iper- coinvolgimento passivo e ad una reazione aggressiva inconscia che induce la vittima ad un risentimento e ad un’ostilità impliciti e indiretti.
In questa fase è la vergogna ad assumere un ruolo centrale nell’atteggiamento passivo della vittima. Tale vergogna è provocata dal riproporsi di memorie traumatiche che riguardano nella maggior parte dei casi storie di trascuratezza emotiva vissute nell’ambiente familiare che inibiscono nella vittima l’azione autonoma basata sulla legittimizzazione della sua libertà individuale.
La terza fase è la sottomissione colpevole, in conseguenza dell’assunzione unilaterale della responsabilità di quanto succede nella relazione con lo stalker. In questa fase, strettamente associata al sentimento di vergogna, la vittima si autoconvince di non poter fare altro che assecondare la volontà del suo persecutore, per paura che un qualsiasi tentativo di autonomia possa indurre un inasprimento della violenza agita dallo stalker. L’ultima fase consiste nella reinternalizzazione impotente come modalità inconscia per negare l’ansia di separazione e la dipendenza relazionale patologica dallo stalker: la vittima nega inconsciamente di aver bisogno del coraggio necessario per affermare la propria libertà individuale. Si tratta di un meccanismo di difesa inconscio in cui la vittima si sintonizza con i sentimenti di onnipotenza dello stalker interiorizzandoli allo scopo illusorio di mantenere un controllo passivo sul suo persecutore.
L’individuazione dei due meccanismi dell’identificazione proiettiva e della contro- identificazione proiettiva ci permette di comprendere quelle situazioni di sottomissione e assoggettamento della vittima che si concretizzano anche nell’incapacità di mettere in atto comportamenti di coping adeguati.
Dott. Davide Ivan Caricchi
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