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Scritto dal Dott. Davide Caricchi
Scritto il 20 Nov, 2023
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La sindrome della crocerossina

Che cos’è la sindrome della crocerossina? Molte volte capita di confrontarsi con persone che vivono esclusivamente per il proprio partner (solitamente problematico) in uno slancio “salvifico” dove l’unico modo per amare l’altro consiste nell’accudirlo, nel prendersene cura in maniera indefessa e acritica. Ecco, la sindrome della crocerossina, nota anche come sindrome di Wendy, si basa principalmente su queste dinamiche.
La sindrome della crocerossina descrive un modello di comportamento di identità, prevalentemente osservato nelle donne, che manifesta eccessive cure e protezioni verso il partner o altre figure importanti. Questo modello si basa su un agire costantemente orientato verso la soddisfazione, la gratificazione e la giustificazione dell’altro, attraverso un impegno totale e un sacrificio personale che porta a trascurare i propri bisogni e interessi.
Le persone affette dalla sindrome della crocerossina trovano soddisfazione nel vedere il partner trarre beneficio dai loro sacrifici e dal loro supporto. Questo comportamento si radica in una percezione di sé come essenziale e irrinunciabile per la relazione e il benessere del partner.
La dinamica fondamentale della sindrome della crocerossina consiste nel far coincidere il senso della propria vita con l’essere in grado di offrire cure o salvare qualcuno, con una propensione a scegliere pertanto partner che necessitano di assistenza o attenzioni particolari.

Definizione della sindrome da crocerossina

La sindrome della crocerossina, chiamata anche “sindrome di Wendy”, deriva dal racconto di Peter Pan. La protagonista, Wendy Darling, è una bambina di 10 anni che viene costretta dalla sua famiglia ad assumere un ruolo adulto e prendersi cura dei suoi fratelli. Essa si prenderà cura anche di Peter Pan riparando e cucendo la sua ombra e seguendolo sull’isola che non esiste, diventando la figura di riferimento per ogni bambino sperduto. Nonostante il suo ruolo da adulta, Wendy non si lamenta e offre volontariamente il suo aiuto, cosa che la rende felice.
Le persone che soffrono della sindrome di Wendy mostrano una tendenza a prendersi cura degli altri in modo eccessivo, spesso trascurando i propri bisogni per soddisfare quelli altrui. Questo comportamento si esprime attraverso atteggiamenti materni e protettivi, mirati a supportare e compiacere, in particolare, il partner, ma può estendersi anche ad altre figure significative come genitori, figli, fratelli, amici e colleghi.
Il prendersi cura dell’altro viene vissuto con incessante impegno consapevole e gioia acritica, poiché la gratificazione personale deriva dal sentirsi utili e necessari. Questa sindrome, che colpisce maggiormente le donne ma non esclude gli uomini, rappresenta una forma di dipendenza emotiva non classificata attualmente nel DSM-V.
Le persone con questa sindrome possono presentare tratti di personalità dipendente, caratterizzati da insicurezza e bassa autostima. Trovano conferma della loro identità nell’essere necessari per gli altri che spesso idealizzano e assistono anche a discapito del proprio benessere.
Le relazioni stabilite con individui bisognose di aiuto, generalmente persone problematiche o complicate, sono percepite come difficili e sono intrise di una dinamica di dipendenza e paura dell’abbandono. C’è la convinzione sottostante che senza qualcuno da aiutare, non ci si può sentire apprezzati nella vita o non si può essere utili al mondo.
Questo atteggiamento riflette una credenza profonda secondo cui l’amore e l’apprezzamento devono essere guadagnati attraverso il sacrificio personale, anziché essere accettati come incondizionati. In questo contesto, l’amore si configura come una “merce” da conquistare piuttosto che un dono gratuito e spontaneo.

Cause alla base della sindrome della crocerossina

La prevalenza maggiore della sindrome della crocerossina tra le donne può essere attribuita a influenze culturali che enfatizzano la propensione femminile per la cura, l’ascolto, l’empatia, il sostegno, l’assistenza e il sacrificio. Le origini di questa sindrome sono complesse e multifattoriali, radicate in vari aspetti della vita e dell’esperienza personale tra cui l’infanzia, la struttura di personalità, lo stile di vita, l’educazione ricevuta, nonché i bisogni e le circostanze di vita.
Spesso chi manifesta la sindrome di Wendy ha vissuto un’infanzia caratterizzata da genitori immaturi o problematici, situazioni in cui i figli sono stati costretti a assumere ruoli genitoriali nei confronti dei genitori stessi o dei fratelli e sorelle oppure hanno dovuto sostituire un capofamiglia assente. Questa prematura responsabilizzazione ha impedito lo sviluppo di una maturità affettiva adeguata.
In età adulta queste persone tendono a riprodurre inconsciamente lo stesso modello relazionale appreso nell’infanzia mettendo da parte i propri bisogni per dedicarsi completamente all’altro. L’ identità delle persone con sindrome della crocerossina è spesso contraddistinta da una bassa autostima e da un costante bisogno di approvazione e consenso da parte degli altri. Questa dinamica rispecchia una continua ricerca di validazione attraverso il prendersi cura degli altri, a discapito del proprio benessere e autorealizzazione.

Come si comporta la persona con sindrome di Wendy?

La sindrome della Crocerossina può essere vista come una manifestazione di un modello relazionale disfunzionale, simile in alcuni aspetti alla figura del principe azzurro ma a ruoli invertiti. In questa dinamica la persona affetta dalla sindrome adotta un ruolo di salvatrice operando sotto l’assunto psicologico secondo cui “Io ti salvo, quindi tu mi amerai”. Tale modello identitario riflette un bisogno di dipendenza e un desiderio di reciproca necessità nell’ambito delle relazioni affettive.
Le manifestazioni comportamentali tipiche della sindrome della crocersossina includono dedizione eccessiva, accudimento e sacrificio personale. Questi comportamenti sono spesso radicati in esperienze affettive dolorose vissute durante l’infanzia, come crescere in ambienti familiari segnati da abbandoni, separazioni, malattie o altre situazioni stress. Queste esperienze precoci possono portare a sviluppare un copione relazionale inconscio basato sulla sofferenza che viene poi riproposto nelle relazioni adulte.
Chi soffre di questa sindrome tende a riprodurre involontariamente lo stesso modello relazionale appreso nell’infanzia mettendo da parte i propri bisogni per focalizzarsi esclusivamente sull’altro. In questo contesto l’amore è percepito unicamente come cura e assistenza, a causa di esperienze emozionali irrisolte. Di conseguenza, la persona non è in grado di concepire relazioni affettive adulte basate su desiderio genuino e scambio reciproco. Essa rimane inesorabilmente intrappolata in un ciclo di dipendenza affettiva e sacrificio personale. Questa dinamica limita la capacità di vivere relazioni sane e bilanciate, poiché è guidata da un desiderio inconscio di riparazione emotiva piuttosto che da una scelta consapevole e matura.

Dinamiche inconsce che sottostanno alla sindrome della crocerossina

Dal punto di vista psicologico, l’esigenza di salvare qualcuno per sentirsi amati, come avviene nella sindrome della Crocerossina, può essere interpretata come un tentativo di curare un proprio disagio interiore o di compensare una percezione di colpa. Questo bisogno deriva da esperienze familiari in cui la persona ha vissuto un deficit affettivo da parte dei genitori o di altre figure affettive significative. Di conseguenza la persona con sindrome della crocerossina sviluppa un’identità caratterizzata da bassa autostima e da un incessante bisogno di approvazione.
In questa dinamica la persona affetta dalla sindrome della crocerossina tende a cercare un partner che rifletta le caratteristiche di una figura familiare importante e problematica. Il comportamento relazionale tipico della sindrome della crocerossina è alimentato inconsciamente dal desiderio di replicare l’unico modello affettivo conosciuto: salvare qualcuno, spesso l’uomo che crede di amare, dalla propria dannazione personale. Questo comportamento è accompagnato da un senso di onnipotenza che porta a maturare la convinzione di essere così speciale da riuscire dove altri hanno fallito rendendo felice e riconoscente il partner.
Tuttavia questo modello relazionale ignora i segnali di pericolo provenienti dalle storie passate del partner e si basa su un’illusione che si fonda sul meccanismo di difesa dell’idealizzazione primitiva. La persona che soffre di sindrome della crocerossina si trascura investendo tutte le sue energie nel prendersi cura dell’altro. Questo agire diventa un modo per colmare un vuoto affettivo ed esistenziale, anche a costo di annullare se stessa e i propri bisogni.
In questa dinamica, il prendersi cura dell’altro assume un significato manipolativo, tipico delle relazioni basate sulla dipendenza affettiva, dove le attenzioni amorose nascondono il desiderio, seppure inconscio, di legare strettamente l’altro a sé. La relazione si basa sull’idea implicita che “se mi prendo cura di te, divento indispensabile per te, quindi mi amerai e non mi lascerai mai”, simile alla dinamica del principe azzurro nelle fiabe.
Tuttavia questa aspettativa inconscia si rivela fallimentare quando il partner, una volta risolti i propri problemi, cerca indipendenza rinnovando nella persona con sindrome della crocerossina il ciclo di insicurezza, paura dell’abbandono e del rifiuto. Se non riconosciuto e affrontato, questo meccanismo può persistere per tutta la vita perpetuando un circolo vizioso di dipendenza emotiva e insoddisfazione relazionale.

Caratteristiche del disturbo

La sindrome di Wendy è un concetto psicologico che descrive un modello comportamentale in cui l’individuo si dedica eccessivamente a prendersi cura degli altri, spesso trascurando i propri bisogni. Questa sindrome, comunemente associata alle donne, si manifesta attraverso un bisogno profondo di soddisfare e proteggere il partner o altre figure importanti nella propria vita. Coloro che soffrono della sindrome di Wendy tendono a sviluppare un comportamento di accudimento e protezione, mosso da un desiderio inconscio di essere indispensabili e amati.
La sindrome di Wendy ha le sue radici nelle esperienze infantili, in particolare in famiglie dove i genitori erano immaturi o problematici e costringevano i bambini a ricoprire ruoli adultizzati. Nella vita adulta questo comportamento si ripete involontariamente portando la persona a mettere da parte i propri desideri e bisogni per concentrarsi esclusivamente sull’altro. La personalità di chi soffre della sindrome di Wendy è spesso caratterizzata da bassa autostima e da un costante bisogno di approvazione. Questo porta inesorabilmente a dipendenza affettiva e a relazioni disfunzionali.
Nel contesto delle relazioni, la sindrome di Wendy si manifesta con una dinamica di “salvifica”: l’individuo crede che prendendosi cura dell’altro, renderà l’altro debitore di amore e riconoscenza. Questo modello relazionale, tuttavia, conduce spesso a cicli di insoddisfazione e a relazioni sbilanciate. La persona affetta dalla sindrome di Wendy deve riconoscere e affrontare queste dinamiche per sviluppare relazioni più sane e reciprocamente soddisfacenti. La comprensione e il superamento della sindrome di Wendy richiedono spesso l’assistenza di un professionista della salute mentale, uno psicologo o uno psicologo online, che può aiutare a esplorare le origini del comportamento e a sviluppare strategie per una maggiore autonomia e benessere emotivo.

Caratteristiche del partner di una persona che soffre di sindrome della crocerossina

Il modello di partner che attrae tipicamente le donne affette dalla sindrome della crocerossina è spesso un individuo elusivo che evita o fatica a stabilire connessioni emotive durature e che ricorda le figure del passato che la crocerossina non è riuscita a mantenere vicino a sé. Questi uomini sono percepiti come misteriosi, inafferrabili e problematici, essi spesso incarnano l’idea del “bello e dannato” che solo la crocerossina crede di poter salvare. Gli uomini emotivamente stabili e capaci di relazioni adulte tendono a riconoscere rapidamente la natura immatura e problematica della crocerossina evitando quindi una relazione con lei.
Storicamente la sindrome della crocerossina è stata individuata in misura molto maggore tra le donne, in parte a causa di una cultura maschilista che ha promosso l’idea che le donne debbano “guadagnarsi” l’amore attraverso un impegno unidirezionale nell’accudimento. Tuttavia, con la progressiva trasformazione sociale e culturale e l’evoluzione dei ruoli di genere, si prevede che in futuro la sindrome possa diventare più diffusa anche tra gli uomini. Il “crocerossino” rappresenta quindi il maschio con problematiche affettive che non si nasconde più dietro una rigida identità di genere.
Per affrontare la sindrome della crocerossina la psicoterapia è considerata il mezzo più efficace. Questo approccio non solo si occupa dei problemi più evidenti segnalati da familiari e amici ma aiuta anche l’individuo a focalizzarsi su di sé, sui propri problemi emotivi e sulla propria storia personale. Tale lavoro psicologico è essenziale per la crocerossina che impara a poco a poco a sperimentare un benessere autentico nelle sue relazioni affettive e nella vita in generale.

Come uscire dalla sindrome della crocerossina?

Per affrontare la sindrome della crocerossina, il primo passo cruciale è la consapevolezza di soffrirne. Spesso chi ne è affetto non si rende conto di essere l’artefice della propria sofferenza e raramente cerca aiuto autonomamente. Il percorso terapeutico con un professionista inizia con l’indagine delle cause sottostanti (quasi sempre “annidate” nell’incosncio) che hanno contribuito a sviluppare un comportamento di salvatrice. Tale lavoro include l’esplorazione della vita del soggetto per comprendere come si sia formata la convinzione che l’amore debba essere guadagnato.
In questo contesto è fondamentale indagare eventuali esperienze di abbandono e timori di rifiuto. Si lavora poi sulla consapevolezza che niente è eterno e che è possibile sopravvivere anche a separazioni dolorose. Un focus importante è posto sulla costruzione dell’autostima e sull’idea che le vere gratificazioni derivano dal prendersi cura di se stessi, spostando l’attenzione dai bisogni altrui ai propri.
Alcuni aspetti chiave su cui lavorare includono lo sviluppo di emozioni positive, l’apprendimento a riflettere prima di accettare di fare un favore valutando le implicazioni personali di tale impegno. In un percorso psicologico di questo tipo, viene anche enfatizzata l’importanza dell’assertività, cioè esprimere i propri bisogni e desideri in modo chiaro e diretto, e superare il senso di colpa quando si dice “no” una richiesta.
Recuperare la propria autonomia è un altro passo cruciale. È fondamentale per questi pazienti dedicare tempo ogni giorno a ciò che genera benessere personale. È importante anche evitare di intervenire in ogni piccola difficoltà del partner permettendogli di assumersi le proprie responsabilità e di ridurre la propria prevedibilità agli occhi dell’altro.
Scrivere un diario può essere un utile strumento per esprimere rabbia e sensi di colpa accumulati facilitando una riflessione più oggettiva sui propri comportamenti. Inoltre immaginare scenari alternativi dove non si agisce come “crocerossine” può aiutare a identificare passioni e interessi personali, nonché a decidere su quali aspetti non intervenire. Infine, implementare piccoli cambiamenti nella vita quotidiana può contribuire significativamente al processo di guarigione.

 

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