Sin dai primi mesi di gravidanza, i genitori sono soliti immaginarsi come sarà il proprio figlio, di quale colore saranno i suoi occhi, quale sarà il temperamento del suo carattere, se assomiglierà di più a papà o più a mamma. Queste rappresentazioni si scontrano poi con il bambino “reale” alla nascita il quale avrà caratteristiche individuali forse diverse da quelle che i genitori avrebbero voluto che avesse.
Quando, poi, nella vita del bambino emergono difficoltà di
diverso tipo, come un disturbo del neuro-sviluppo o un disturbo specifico dell’apprendimento, i genitori vengono travolti da un vortice di emozioni, un
senso di inadeguatezza, di angoscia, di dolore.
In fondo, molto spesso si è soliti pensare che queste difficoltà debbano succedere sempre agli altri.
La mente dei genitori si riempie di pensieri quali “Come sarà il futuro del mio bambino? Sarà accettato dalla società?”, finendo molto spesso per mettersi in discussione e chiedersi dove abbiano sbagliato.
Un genitore, di fronte ad una possibilità di diagnosi del proprio figlio, può sperimentare due fasi.
In primo luogo, emerge una reazione di shock, di impotenza e di estrema confusione che impedisce ai genitori di comprendere cosa stia davvero accedendo.
“Non sapevo davvero cosa fare, facevo fatica a comprendere ciò che provavo” è una tra le frasi più comuni riportate da coloro che vivono questa situazione.
Questa prima fase può portare i genitori alla negazione del problema. Si può infatti ricorrere a diversi consulti specialistici al fine di ricercarne almeno uno che possa disconfermare la diagnosi fatta al figlio.
Ogni reazione del genitore, però, deve essere accettata e compresa poiché ogni persona fa riferimento alla propria esperienza passata e alle proprie risorse per affrontare le difficoltà e i momenti di sofferenza.
Per questo motivo si rende necessario supportarli nel faticoso percorso di accettazione della diagnosi, conducendoli verso un adattamento alla realtà. In questo modo, i genitori riusciranno a soffermarsi non più solo sui limiti legati alla difficoltà, ma anche sulle risorse e le potenzialità del piccolo.
Questo supporto consentirà ai genitori di vivere questo momento non come un punto di arrivo, bensì come un punto di partenza per la totale comprensione del piccolo.
E’ necessario comprendere che, sebbene il bambino abbia una diagnosi che lo accomuna ad altri bambini, essa, da sola, non definirà mai univocamente il bambino. Di conseguenza, è fondamentale accogliere il bambino per ciò che è, per il suo modo di vivere il mondo e di interagire con esso.
Dobbiamo ricordarci che la diagnosi non dice nulla né sul bambino, né sui suoi genitori.
Forse, ad oggi, ciò che spaventa di più i genitori non è tanto la difficoltà del bambino in sé, quanto la diagnosi, la paura di essere stigmatizzati, ghettizzati, considerati diversi dagli altri.
Per aiutare i genitori in questo momento di elaborazione sono disponibili dei percorsi psicoeducativi per accettare ciò che sta accadendo e per fornire un supporto concreto nella relazione con il figlio.
Le diagnosi, infatti, non devono costituire delle etichette che stigmatizzano il bambino e i genitori, bensì vanno considerate come dei “grandi contenitori che vanno riempiti con le caratteristiche specifiche ed individuali del bambino”.
Francesca Natoli
Psicologa, specializzata in psicodiagnosi e in psicopatologia dell’apprendimento. Referente centro specializzato “ReTrentatrè”, Rimini.
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Nicole Zavoli
Laureanda in Psicologia presso l’Università di Bologna. Volontaria presso il centro Specializzato “ReTrentatrè”, tirocinante presso il “Centro di Neuropsicologia Riminese”.
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Dott. Davide Ivan Caricchi
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