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Scritto dal Dott. Davide Caricchi
Scritto il 10 Nov, 2022

Quando la donna viene privata del suo valore: l’oggettivizzazione femminile

L’oggettivizzazione femminile è un fenomeno psicologico e sociale che ha avuto e ha tuttora ripercussioni nefaste sulla personalità e l’autostima di una donna che ahimè, ancora oggi, si ritrova molto spesso a lottare con molteplici forme di disconoscimento del suo valore da parte della cultura maschile. La figura della donna è stata soggetta nei secoli e nelle diverse culture a vari “ruoli”. Nell’Antica Grecia, la donna era “confinata” tra le mura domestiche, “utile” solo a procreare o ad accudire i figli. Solo a Sparta la donna poteva occuparsi anche del benessere del proprio corpo mediante l’attività fisica. Durante il Medioevo la donna comincia ad occuparsi sia della gestione di ostelli e botteghe sia della cura dei campi. Le donne di estrazione più umile si sposavano in adolescenza, mentre le donne nobili già da bambine erano promesse spose. Dal ‘900 ad oggi la donna sembra acquisire sempre più spazio ed autonomia, sembra a poco a poco occupare ruoli di rilievo sia a livello sociale che politico. Ma è effettivamente così?

Che cos’è l’oggettivizzazione femminile?

Nonostante i tempi siano cambiati, il fenomeno dell’oggettivizzazione femminile permane in forme diverse ma sempre molto penalizzanti per la donna. Per quanto la donna possa occupare determinati ruoli, la sua figura viene spesso oggettivizzata e sessualizzata. Ma cosa significa esattamente “oggettivizzazione”? “L’oggettivizzazione è una strategia che consiste nel delegittimare una persona del suo essere tale deumanizzandola e trattandola come un oggetto o una merce” << Dakanalis et al.,2012>>. L’oggettivizzazione può essere applicata sia nel campo lavorativo sia nel campo sessuale:

– In ambito lavorativo,i lavoratori vengono trattati come schiavi, vengono valutati come strumenti e con come persone, al pari delle bestie, prive di qualsiasi diritto.
– In ambito sessuale, ci si riferisce al corpo della donna e ai suoi attributi sessuali

L’oggettivizzazione femminile è una forma particolare di de-umanizzazione. Secondo Nussbaum, filosofa e accademica statunitense, vi sono sette diverse dimensioni concernenti l’oggettivizzazione femminile:

1. Strumentalità
2. Negazione dell’autonomia
3. Inerzia
4. Fungibilità
5. Violabilità
6. Proprietà
7. Negazione della soggettività

L’oggettivizzazione viene perpetrata sia dalla società sia dal partner. In quest’ ultimo caso, l’oggettivizzazione della donna portata all’estremo può generare gesto più grave ed efferato: il FEMMINICIDIO. Il termine femminicidio “è un neologismo che identifica i casi di omicidio doloso o preterintenzionale in cui una donna viene uccisa da un individuo di sesso maschile per motivi basati sul genere” (Fonte: wikipedia.it).

Oggettivizzazione e sessualizzazione

L’oggettivizzazione femminile comprende anche la sua sessualizzazione. Inizialmente fu il cinema a produrre modelli stereotipati, poi fu la volta di giornali, pubblicità e serie tv ed infine dei social network e di photoshop , proponendo modelli di ragazze inarrivabili, modificate da software ed altri programmi.
Ma la sessualizzazione comincia già fin dalla più tenera età, pensateci bene … alle femmine sono rivolti giocattoli che stereotipano la figura femminile, come set di make up, set di cucina, prendersi cura del bebè etc…, mentre ai maschi son rivolti giocattoli che possano stimolare le capacità logico-deduttive e la fantasia. Anche i media danno il loro contributo proponendo talvolta lo stereotipo della “casalinga felice” o della cosiddetta “bad girl” dei reality show, sfrontata e senza “freni morali”. In tutto ciò, una conseguenza insidiosa della sessualizzazione femminile è rappresentata da ciò che è stato definito “self-objectification” (auto-ogettivazione), ovvero << le donne e le ragazze arrivano a vedere se stesse principalmente come un oggetto valutato sulla base esclusivamente del proprio aspetto>> (Tiggeman, 2011; Dakanalis et al.,2012; Mckay, 2013). A tal proposito, anche il porno risulta alquanto deleterio. Il 4 dicembre 2020 il “New York Times” pubblicò un’inchiesta “The children of pornhub: Why does Canada allow this company to profit off videos of exploitation and assault ?”. L’articolo è una denuncia a Pornhub, accusata di aver diffuso video senza il consenso della persona e ritraendo immagini di abusi a danno di minori. Ciò denota che il porno può essere un’altra potenziale fonte di “stereotipi oggettivizzanti”, dove i video sono prodotti esclusivamente per il piacere dell’uomo e le “protagoniste” vengono trattate come oggetti e disprezzate attraverso l’uso di parole degradanti. Una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori (Bridges, A.J., Wosnitzer, R., Scharrer, E., Sun, C. & Liberman, R,) su 50 film pornografici tra i più famosi, ha riscontrato che la violenza era contenuta in circa l’88% delle scene, mentre la verbale in circa il 49%. In conclusione, il “consumatore” assimila queste scene il quale avrà una percezione distorta non solo del sesso ma anche della figura femminile. Ai giorni nostri, la sessualizzazione e l’oggettivizzazione femminile viene ancora vista troppo spesso come una cosa normale e naturale dell’essere donna, quando sarebbe invece di vitale importanza lavorare sulla creazione e il consolidamento di valori che rimandino alla femminilità e alla personalità.

Articolo scritto da Alessio Sidoti, studente di psicologia e curatore del profilo Instsgram psicologia_di_antares

 

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