IL RISCHIO DELLA SOLITUDINE
Spesso non è facile ammettere di avere un problema o una difficoltà. Tant’è che talvolta si preferisce ingannare se stessi, più o meno inconsapevolmente, piuttosto che riconoscere il proprio disagio. Sovente non si trova la FORZA DI CHIEDERE AIUTO: questo può indurre a rinunciare a chiedere un sostegno concreto, a lasciar perdere insomma, con il RISCHIO che un piccolo problema di ansia o dell’umore si trasformi col passare del tempo in qualcosa di più SERIO e INVALIDANTE per la vita di tutti i giorni…e con il RISCHIO che poco per volta il SENSO DI SOLITUDINE si ingigantisca.
RICHIESTA DI AIUTO = FALLIMENTO?
Per alcune persone l’idea di dover chiedere aiuto ad un “estraneo” per porre fine ad uno stato di sofferenza viene vissuto come qualcosa di offensivo e irritante per se stessi oppure come l’ammissione di una “sconfitta” per “non avercela fatta da soli”: l’idea di rivolgersi ad un professionista della mente li induce a sentirsi deboli o incapaci di reagire; insomma dei falliti.
NIENTE DI PIÙ SBAGLIATO!!!!
Soltanto con la CONOSCENZA e con il CORAGGIO di chiedere un aiuto concreto si può affrontare un aspetto di sé che spaventa e crea disagio. Se tale conoscenza si fa in maniera graduale e nel modo più spontaneo possibile, allora si potrà attuare l’intervento più efficace e il problema sarà RISOLTO IN BREVE TEMPO.
Molte persone ritengono che sia inutile rivolgersi ad un professionista del settore, quando c’è la possibilità di farsi supportare dai propri familiari o amici. Questo è un bellissimo pensiero, perché significa condividere le proprie sofferenze con persone che le amano e che farebbero di tutto per renderle felici.
Tuttavia familiari e amici, per quanto motivati a supportare la persona sofferente, non possono essere “attrezzate” per comprendere appieno il relativo problema di ansia o depressione, con conseguente demoralizzazione anche da parte loro.
Inoltre, parenti e familiari, essendo emotivamente coinvolti nei confronti della persona che soffre, rischiano di non fornirgli il giusto supporto e di farlo sentire ulteriormente solo, pur mettendocela tutta per “farlo reagire”.
Ecco che per dare un aiuto che sia davvero tale, serve un punto di vista “più esterno” e meno coinvolto dalle dinamiche familiari: serve un “terzo” che crei quello spazio di ascolto autentico e libero da vincoli che si possono avere nel comunicare certi aspetti di sé ai familiari o agli amici.
SOLTANTO così, una volta analizzato il problema e individuate le principali cause, in un contesto di LIBERTÀ e CONFIDENZA, si potrà procedere con l’intervento più mirato che varierà a seconda della problematica.
Dott. Davide Ivan Caricchi
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