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Scritto dal Dott. Davide Caricchi
Scritto il 29 Feb, 2024

Il narcisista in terapia

Come si muove un paziente narcisista in terapia? Che cosa prova? Cosa succede nella testa di un narcisista in un percorso psicologico? Cosa si attiva? Per comprenderlo, è necessario analizzare tutta una serie di aspetti: il significato che egli dà al terapeuta, al percorso psicologico, gli atteggiamenti che assume, i meccanismi di difesa e le resistenze che mette in atto ma soprattutto i movimenti transferali e controtransferali, ossia transfert e controtransfert che non sono altro che i sentimenti che si attivano rispettivamente nel paziente e nel terapeuta rispetto al proprio interlocutore nel corso della seduta.
In questo lavoro cercheremo pertanto di comprendere le principali implicazioni terapeutiche di un percorso psicologico o di un percorso psicologico online con la persona narcisista.

Il transfert del paziente narcisista

Nei percorsi di psicoterapia trattamento con il paziente narcisista il transfert è decisamente differente da un punto di vista qualitativo rispetto ad altre tipologie di pazienti. Pertanto, sin dalle prime battute del percorso psicologico, è opportuno che lo psicologo proceda con la massima cautela per quel che riguarda rimandi e interpretazioni.
Nel contesto terapeutico, quando si tratta di individui con tratti narcisistici, si osserva un’interazione peculiare che differisce notevolmente da quella instaurata con pazienti che presentano un elevato grado di cooperazione e un funzionamento psicologico sano. Il paziente narcisista tende a svalutare e minimizzare le dinamiche di transfert. Prognosticamente questo potrebbe anche essere visto come un aspetto positivo, in quanto ci informa che la terapia sta “smuovendo” qualcosa riproducendo dinamiche tipiche di questo funzionamento con cui il paziente narcisista si è ahimè confrontato sin da piccolo. Le espressioni di curiosità o le domande riguardanti i loro sentimenti verso il terapeuta vengono spesso percepite come fastidiose, tediose o irrilevanti rispetto alle loro problematiche personali. Talvolta il paziente narcisista interpreta erroneamente questi approcci considerandoli un tentativo del terapeuta di soddisfare propri bisogni di validazione o di ammirazione, un fenomeno che ci fa capire come il paziente narcisista proietti i suoi vissuti di insicurezza. Spesso queste valutazioni fatte dai soggetti narcisisti non vengono esplicitate e, di conseguenza, risultano difficili da analizzare o da utilizzare in maniera costruttiva nelle fasi iniziali della terapia.
Inoltre, la relazione tra paziente narcisista e terapeuta è complicata da un’alternanza di difese quali svalutazione e idealizzazione che vengono usati in maniera massiccia. Questi pazienti spesso si sentono disorientati dall’attenzione che ricevono dal professionista interpretando il loro interesse come un segno di debolezza o, al contrario, come una conferma della loro eccezionalità. Tentativi di discutere queste dinamiche tendono a non sortire effetto, almeno inizialmente: il terapeuta che cerca di affrontare la svalutazione viene percepito come difensivo, mentre quello che accenna all’idealizzazione rischia di essere ulteriormente idealizzato.
I terapeuti alle prime armi si ritrovano a fare i conti più frequentemente con atteggiamenti di svalutazione piuttosto che di idealizzazione da parte dei pazienti. Per questi professionisti, può essere di conforto sapere che affrontare un transfert narcisistico, sia esso di svalutazione o di idealizzazione, comporta difficoltà simili da un punto di vista clinico: in entrambi i casi il paziente narcisista tenderà a minimizzare l’autenticità e la competenza del terapeuta, che invece dal canto suo si impegna in maniera genuina nel sostegno psicologico del paziente. Queste dinamiche relazionali all’interno della seduta possono generare nel terapeuta una sensazione di invisibilità o di “de-umanizzazione”, un’esperienza che, se da un lato può risultare dolorosa, dall’altro rappresenta un indicatore significativo della presenza di una problematica narcisistica nel paziente.

Il controtransfert nei confronti del paziente narcisista

Nel contesto terapeutico gli psicologi che lavorano con il paziente narcisista può sperimentare una vasta gamma di reazioni controtransferali complesse che includono sentimenti di irritabilità, sonnolenza e una percezione di stasi o inattività nel processo di cura. Queste reazioni non sono altro che il “riflesso” della dinamica interpersonale creata dal paziente narcisista. Spesso tale si manifesta attraverso comportamenti che sfidano le regole del setting e mettono alla prova la pazienza del terapeuta. Per esempio, un paziente narcisista può presentarsi agli incontri con un atteggiamento critico minimizzando o ignorando gli interventi terapeutici e generando una sensazione di incomprensione e dubbiosità sul motivo per cui bisogno proseguire nel trattamento con questa continuità. Il terapeuta può chiedersi quale beneficio il paziente narcisista possa trarre da queste sessioni, dato il suo apparente disinteresse o la sua critica nei confronti del processo.
Inoltre, i terapeuti possono sperimentare una strana sensazione di assenza o di disconnessione durante le sessioni con pazienti narcisisti, quasi come se non fossero fisicamente presenti nello spazio condiviso. Questo fenomeno può culminare in episodi di estrema sonnolenza che rappresentano una delle reazioni controtransferali più difficili da gestire. Tali momenti di soporifero distacco spingono talvolta il terapeuta a cercare giustificazioni varie alla propria condizione attribuendola a mancanza di riposo, a eccessi alimentari o ad altri fattori esterni. Tuttavia, è alquanto significativo il fatto che questi sintomi di stanchezza si dissolvano rapidamente una volta che il paziente narcisista lascia la stanza, segno che tali esperienze sono profondamente intrecciate alla specificità della relazione terapeutica con il narcisista.

I rischi del controtransfert “positivo”

Occasionalmente, il controtransfert può assumere forme positive, come nel caso di interazioni con pazienti narcisisti che idealizzano il terapeuta. Queste situazioni possono indurre nel terapeuta sentimenti di grandiosità alimentando un circolo di ammirazione reciproca. Tuttavia, a meno che il terapeuta non presenti egli stesso tratti narcisistici significativi, è probabile che tali reazioni siano effimere e scarsamente radicate nella realtà della relazione terapeutica. Queste dinamiche riflettono la complessità del lavoro con pazienti narcisisti e richiedono una riflessione approfondita e una supervisione costante per gestire le sollecitazioni generate da questi tipi controtransfert, garantendo così un trattamento etico e supportivo.

Il terapeuta come “estensione” del proprio Sé

Nel contesto della psicoanalisi, la dinamica relazionale instaurata con un paziente che presenta tratti narcisistici rivela una dinamica transferale particolarmente unica. A differenza della proiezione di figure genitoriali o di altri oggetti interni significativi sul terapeuta, fenomeni alquanto comune nei contesti terapeutici, il paziente con tendenze narcisistiche tende a trasformare il terapeuta in un’estensione o un riflesso del proprio sé. In altre parole, invece di identificare nel terapeuta una figura parentale o altra figura significativa del passato, il narcisista proietta sul terapeuta gli aspetti sia grandiosi che svalutati del proprio sé. Questa proiezione fa sì che il terapeuta sia percepito non tanto come un individuo distinto e separato ma piuttosto come un oggetto funzionale all’interno del complesso sistema di autostima del paziente narcisista. Ciò significa che il terapeuta viene trasformato in un oggetto-sé, un contenitore per le dinamiche di autostima del paziente, piuttosto che essere riconosciuto come una persona autonoma con una propria identità distinta.

Il sentirsi “strumento” del paziente narcisista

Tale fenomeno può risultare particolarmente difficile da gestire per il terapeuta, che può sentirsi ridotto a mero strumento per il mantenimento dell’autostima del paziente narcisista, piuttosto che essere valorizzato come professionista capace di fornire un autentico sostegno psicologico. Questa dinamica può avere un impatto disumanizzante e può generare reazioni controtransferali negative, soprattutto nei terapeuti meno esperti, che possono trovare alquanto frustrante gestire la complessità di tali interazioni senza sentirsi personalmente svalutati o inefficaci. Tuttavia, alcuni terapeuti, con maggiore esperienza o una profonda comprensione delle dinamiche narcisistiche, riescono a tollerare e persino a trarre spunti empatici da queste reazioni individuandole come manifestazioni comprensibili del disturbo narcisistico.

Trattamento del paziente narcisista e “oggetto-sé”

Le dinamiche transferali che abbiamo appena illustrato ci fanno capire come il terapeuta venga vissuto e sperimentato come una parte del suo Sé grandioso (grandiosità che in realtà cela un profondo nucleo di fragilità del sé narcisista). Il paziente narcisista vive pertanto l’altro come un vero e proprio “oggetto-sé”, ossia una figura che rappresenta non tanto un individuo separato con sue emozioni, suoi bisogni e suoi pensieri autonomi, bensì come un’”escrescenza” del proprio Sé.

L’approccio teorico alla psicologia del Sé, sviluppato da Heinz Kohut e successivamente ampliato da altri analisti, offre una cornice interpretativa per comprendere le varie forme di transfert “oggetto-sé” presenti nei pazienti narcisisti, inclusi i transfert speculari, gemellari e alter egoici. Questi concetti, benché complessi e articolati, forniscono agli psicoterapeuti degli strumenti concettuali preziosi per riformulare le proprie comprensioni dei pazienti narcisisti, superando così la frustrazione derivante dall’osservazione di comportamenti che, in precedenza, potevano sembrare inspiegabili o errati. L’esplorazione di questa prospettiva può offrire ai terapeuti nuove vie per interpretare e gestire la relazione terapeutica con pazienti narcisisti, facilitando un approccio più efficace e empatico alla loro cura e al loro sostegno.
Approccio da adottare nel trattamento del paziente narcisista

Nel campo della psicoterapia, aiutare un individuo con tratti narcisistici a sviluppare una concezione di sé equilibrata, libera sia dalla grandiosità che dal disprezzo verso gli altri, rappresenta un traguardo davvero importante e al tempo stesso estremamente arduo da raggiungere.
Un elemento fondamentale da tenere in considerazione per trattare efficacemente la personalità narcisistica è l’adozione di un approccio paziente e riflessivo, poiché la trasformazione della struttura di personalità di un narcisista non è un processo che si sviluppa rapidamente, nonostante le avanzate conoscenze attuali nel campo della psicologia. Il lavoro di cambiamento e “smussamento” di specifici tratti di personalità richiede un impegno a lungo termine, e ciò risulta particolarmente vero nel contesto del lavoro terapeutico con pazienti narcisisti, per i quali è necessario mettere in gioco pazienza e perseveranza nei confronti delle loro reazioni narcisistiche che possono manifestarsi con intensità e portare a sentimenti di scoraggiamento.

Alle origini della sofferenza narcisistica: la diatriba tra Kohut e Kernberg

Il dibattito tra le teorie psicodinamiche relative all’origine e al trattamento dei disturbi narcisistici rimane complesso e articolato. Esso si concretizza principalmente nelle divergenze teoriche emerse tra due grandi psicoanalisti che tra gli anni ‘70 e ‘80 hanno fornito dei contributi fondamentali riguardo il funzionamento delle personalità narcisistiche: Heinz Kohut e Otto Kernberg.

Kohut proponeva una visione “evolutiva” del narcisismo patologico, interpretando le difficoltà incontrate dal paziente narcisista come ostacoli nel normale processo di maturazione. Tali ostacoli impatterebbero sulla capacità di gestire le dinamiche di idealizzazione e svalutazione.

Kernberg, al contrario, offriva una prospettiva “strutturale” del funzionamento narcisistico, suggerendo che le radici del narcisismo patologico si collocano in un malfunzionamento precoce dello sviluppo psichico, con il soggetto che si rifugia dietro difese primitive.
Questa dicotomia teorica ha prodotto approcci diversificati al trattamento del narcisismo. Alcune strategie si concentrano sulla necessità di ‘nutrire’ il paziente narcisista fornendogli le risorse emotive necessarie per consentirgli di superare le fasi di sviluppo interrotte.
Altre metodologie, invece, suggeriscono un intervento mirato a rimodulare gli aspetti disfunzionali del sé narcisistico, al fine di facilitare il ritorno a uno sviluppo psichico più sano.

I sostenitori della psicologia del Sé (Kohut) enfatizzano l’importanza di un’empatia costante e della capacità di accogliere sia l’idealizzazione che la svalutazione come parti di un processo terapeutico costruttivo, mentre Kernberg pone l’accento sulla necessità di affrontare con cautela ma determinazione la grandiosità interna del paziente narcisista, nonché di interpretare sistematicamente le difese erette contro sentimenti come l’invidia e l’avidità.

La complessità del trattamento del paziente narcisista: a ciascuno il suo approccio

Nell’ambito del trattamento dei pazienti narcisisti, gli approcci terapeutici variano quindi significativamente nella loro modalità di interazione con l’esperienza interna del paziente. Mentre i terapeuti orientati verso la psicologia del Sé si impegnano a rimanere immersi nell’esperienza soggettiva del paziente narcisista, quelli che adottano prospettive derivanti dalla psicologia dell’Io e dalla teoria delle relazioni oggettuali tendono a navigare tra un’osservazione interna e una valutazione esterna del paziente, cercando di bilanciare la comprensione empatica con interventi mirati a modificare le strutture difensive e le distorsioni narcisistiche.
Nell’ambito della discussione sulle diverse teorie psicoanalitiche riguardanti il trattamento dei disturbi narcisistici, è importante riflettere sul valore intrinseco di entrambi gli approcci discussi sinora, sia quello di Kohut che quello di Kernberg. Numerosi psicoterapeuti e analisti hanno potuto riscontrare nella loro pratica clinica come vi siano pazienti narcisisti i cui quadri clinici sembrano rispecchiare le teorizzazioni sia di Kohut e altri le teorizzazioni di Kernberg.

La terapia di sostegno di Kohut

Kernberg ha proposto di considerare l’approccio di Kohut come una forma di terapia di sostegno, adatta a soggetti con disturbi di personalità o condizioni narcisistiche al confine con la psicosi, una visione che ha trovato consenso tra molti colleghi. Questi ultimi hanno osservato come le linee guida proposte da Kohut siano applicabili efficacemente anche ai pazienti affetti da disturbi dell’Io. Tuttavia, questa interpretazione si complica alla luce del fatto che Kohut ha condotto analisi tradizionali con individui narcisistici che presentavano livelli di funzionamento relativamente elevati, il che solleva questioni sulla possibilità di generalizzare questa proposta metodologica di Kernberg.

L’importanza di riconoscere i propri errori e i rischi dei fallimenti empatici

La pazienza emerge come un attributo fondamentale nel trattamento dei pazienti narcisistici, sottolineando l’accettazione delle limitazioni umane e l’inevitabile lentezza del progresso terapeutico. Questo approccio implica una profonda comprensione della natura imperfetta dell’essere umano e la sua suscettibilità alla fragilità, anche nei professionisti che assistono individui narcisistici. È essenziale che la terapia promuova un atteggiamento realistico e non giudicante riconoscendo che tutti possiamo commettere errori.
Un contributo significativo alla tecnica terapeutica, secondo Kohut, riguarda l’importanza di riconoscere gli errori terapeutici, in particolare quelli legati a mancanze di empatia. A differenza delle teorie pulsionali e della psicologia dell’Io, che tendono a minimizzare le ripercussioni degli errori terapeutici, Kohut e i sostenitori della psicologia del Sé evidenziano l’impatto devastante che un fallimento empatico può avere su un individuo narcisista. L’espressione di rammarico da parte del terapeuta può avere un duplice effetto benefico: valida i sentimenti reali del paziente narcisista e dimostra che è possibile mantenere l’autostima anche nell’ammettere le proprie imperfezioni.
È vitale evitare l’eccesso di autocritica quando si ammettono errori, per non rinforzare nel paziente narcisistico l’idea errata che gli errori siano inaccettabili e debbano essere severamente censurati. Questo approccio trova eco nelle parole di Winnicott e Arthur Robbins, autori che enfatizzano il valore dell’errore terapeutico come mezzo per mostrare umanità e vulnerabilità incoraggiando così la correzione da parte del paziente.

Attenzione costante allo stato latente del paziente narcisista

Infine, il trattamento di un individuo narcisista richiede un’attenzione costante allo stato soggettivo latente del paziente, per evitare di aggravare i suoi sentimenti di vergogna con critiche percepite come lesive. La relazione terapeutica con un paziente narcisista è estremamente delicata, data la loro bassa tolleranza verso qualsiasi esperienza che possa minare la loro fragile autostima. Comprendere e rispettare questa sensibilità è cruciale per evitare interruzioni improvvise del trattamento, un fenomeno comune quando i sentimenti narcisistici vengono feriti.

L’importanza di distinguere tra vergogna e senso di colpa

L’elaborazione delle dinamiche emotive che caratterizzano l’esperienza interna della persona con tratti narcisistici rivela l’importanza critica di distinguere accuratamente tra la vergogna e il senso di colpa. Questa distinzione è fondamentale, in quanto gli individui con una fragile autostima, in particolare quelli con un profilo narcisistico, tendono a impiegare strategie di evitamento per non affrontare i propri vissuti più dolorosi legati a situazioni negative della loro vita. A differenza di coloro che si sentono genuinamente colpevoli e si impegnano in azioni riparative, i narcisisti spesso si rifiutano di riconoscere i propri errori preferendo nasconderli per evitare che vengano “smascherati” dagli altri. Questa dinamica può portare il narcisista a elicitare nel terapeuta risposte non empatiche che puntano il dito sulle loro responsabilità nelle situazioni problematiche, oppure a cercare una complicità nel lamentarsi delle ingiustizie subite da terzi. Entrambe queste posizioni terapeutiche sono inefficaci e potenzialmente dannose, sebbene la seconda possa offrire un sollievo temporaneo al dolore emotivo profondamente radicato nella persona narcisista.

Favorire la consapevolezza senza incrementare il senso di vergogna

Nel percorso psicologico con il paziente narcisista, il terapeuta si trova di fronte all’arduo compito di favorire sempre più la consapevolezza e l’integrità del paziente narcisista riguardo al proprio comportamento evitando di innescare sentimenti di vergogna (o addirittura di ansia a volte) così intensi da poter causare l’abbandono della terapia o il rafforzamento di dinamiche segrete.
Un approccio che si è dimostrato efficace in questo senso prevede l’uso di una comunicazione empatica e l’incoraggiamento a riflettere sull’espressione diretta dei propri bisogni, ponendo domande quali: “Ha chiaramente comunicato i propri bisogni?”. Questo tipo di approccio si basa sul fatto che i pazienti narcisisti provano profonda vergogna nell’ammettere di avere bisogni, elementi che sono percepiti come una debolezza o una falla del proprio sé. Di conseguenza, i narcisisti possono ritrovarsi intrappolati in dinamiche interpersonali insoddisfacenti, con partner o amici incapaci di interpretare e soddisfare i loro desideri non espressi, esperienza che vivono come un’umiliazione profonda. Il paziente narcisista cerca quindi di convincere il terapeuta che il nucleo del problema risieda nell’insensibilità altrui, non riesce a capire che buona parte del suo disagio risiede nella sua tremenda difficoltà a riconoscere e comunicare i propri bisogni.

Quanto è delicato gestire il transfert narcisistico

La discussione sulle differenze tra il transfert oggetto-sé, tipico dei pazienti narcisistici, e il transfert oggettuali, più comune nelle dinamiche nevrotiche, sottolinea come il terapeuta debba adottare strategie diverse quando lavora con pazienti narcisistici rispetto ad altri tipi di pazienti. Sia che si segua l’approccio di Kohut sia quello di Kernberg, è essenziale riconoscere che, nonostante i pazienti narcisistici possano far sentire il terapeuta come se non avesse alcun significato per loro, in realtà hanno un bisogno ancor più profondo di supporto terapeutico a causa dei loro significativi deficit nella sfera dell’autostima.
I terapeuti, soprattutto se alle loro prima esperienze con pazienti narcisistici, possono rimanere sorpresi nello scoprire che la stessa persona che in terapia sembra renderli insignificanti e impotenti, al di fuori dello spazio clinico parla di loro in maniera molto edificante, o viceversa. Questa apparente contraddizione riflette una profonda dipendenza dal terapeuta che il narcisista può avvertire specialmente in momenti di frammentazione emotiva, quando percepisce il terapeuta come poco sensibile. Pertanto, nel trattamento del paziente narcisista, il clinico deve ogni tanto “mordersi la lingua”, ossia sforzarsi a non condividere tante delle sue intuizioni e riflessioni che, con altri tipi di pazienti, potrebbero essere condivise più liberamente. Col paziente narcisista serve molta cautela e soprattutto molta pazienza.

 

 

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